venerdì 28 febbraio 2014

La morte di Huber Matos



Era un uomo speciale Huber Matos. In tutti sensi. Eravamo nel 1958, lui faceva il maestro di scuola e coltivava riso a Manzanillo, dalle parti della Sierra Maestra, Oriente cubano. Fu tra i primi oppositori al regime di Fulgencio Batista, si unì a Fidel e all'Esercito Ribelle, conquistò sul campo il grado di Comandante e contribuì al trionfo della Rivoluzione. Cadde presto in disgrazia, però, perché in disaccordo con la deriva comunista del processo rivoluzionario. Fu accusato nel 1959 di alto tradimento e dovette scontare 20 anni di reclusione in patria. Esiliato a Miami, fondò il movimento Cuba Indipendente e Democratica, per diffondere nel mondo la sua visione democratica e il tradimento degli ideali rivoluzionari. A Cuba oggi nessuno lo ricorderà, anche se pure lui ha contribuito alla causa ed è stato tra i coraggiosi che scacciarono Batista. Ha avuto il torto di non essere comunista, se così si può dire, ma ha avuto il coraggio di mettere nero su bianco tutti i suoi dubbi, pagando con la galera le sue convinzioni democratiche. 



Muore a 95 anni, per un attacco cardiaco, lucido e intelligente come sempre, a differenza del rivale Fidel che gli sopravvive come l'ombra di se stesso. Verrà sepolto in Costarica, secondo le sue volontà, in attesa che la sua terra sia libera e possa di nuovo accoglierlo. Il Costarica è un paese importante nel passato del Comandante, perché fu il suo rifugio dalle truppe di Batista che lo braccavano. Huber Matos, il mitico Comandante della Colonna 9 "Antonio Guiteras", entrò all'Avana a fianco di Fidel e di Camilo Cienfuegos. Avevano posizioni democratiche molto simili, Huber e Camilò, il primo fu arrestato per tradimento, il secondo scomparve in un misterioso incidente aereo. Huber Matos è sempre stato convinto che Camilo venne ucciso, così come la sua detenzione fu una conseguenza della svolta autoritaria castrista. Riposa in Pace Comandante Huber. La storia ti assolverà.



La caricatura è di Garrincha
L'articolo è di Gordiano Lupi

giovedì 27 febbraio 2014

Non sono un dissidente!

di Alejandro Torreguitart Ruiz


Non sono un dissidente! Voglio che si sappia in giro, mamma. E mica perché ho paura. No davvero. Non sono un dissidente, perché non ho mai preso un aereo per volare nella vecchia Europa. Mi sento più vicino al vecchio Alarcón che a certa gente, guarda. Ché io c’ho persino paura di volare e mica nel senso di Erica Jong. No, nel senso vero. Brava Yoani che svolazzi in qua e in là come una farfalla. Tu che ci riesci fai bene ad aver le tasche piene e non solo i coglioni, come cantava un italiano un po’ di tempo fa. Lo so che voi cubani non lo conoscete, tu mamma ancora meno, lo so. Non lo dire al babbo, mi raccomando, se no lui pensa d’avere un figlio comunista e si mette in capo idee strane, non lo dire a lui, ma credimi, non sono un dissidente. Non voglio sentirmi confondere con gente simile, ché se il governo non rappresenta il popolo, loro ancor meno, guarda.
L’Unione Europea annuncia un’apertura di relazioni con Cuba e i nostri dissidenti volano a Madrid. Con quali cazzo di soldi, dico io? Vanno a Madrid - novemila chilometri di distanza - per unire le forze di venti associazioni in un progetto comune. Pare di stare in discoteca, quando il disk-jockey grida: dove c’è un cubano che si alzi la mano! In Europa no, dove c’è un cubano, ecco un partito politico. Pare che convenga. Pare che qualcuno finanzi. Non dico chi. Non voglio nemmeno saperlo, ché in fondo m’interessa un cazzo. E allora leggo che i nostri dissidenti da diporto chiedono il riconoscimento della società civile cubana e la liberazione dei prigionieri politici, oltre alla ratifica della Carta dei Diritti Umani. In teoria hanno ragione, nessuno lo nega, se solo esistesse una società civile cubana e se loro rappresentassero davvero qualcuno. Perché questi dissidenti in volata libera (mi pare che escano da Cuba un paio di volte al mese) non sono tutti in galera se nel nostro paese la situazione dei diritti umani è così tragica?
 
 
Siamo tra l’uscio e il muro, cara mamma. Il partito comunista - castrista da una parte, questi dissidenti un tanto al chilo che ragionano col culo e sparano cazzate in convention internazionali dall’altra. C’erano proprio tutti nella Casa de América di Madrid: Yoani Sánchez, Berta Soler (Damas de Blanco), Elizardo Sánchez (Commissione per i Diritti Umani). Mancavano solo Guillermo Fariñas (Unión Patriótica de Cuba) e Manuel Cuesta Morúa (Arco Progresista), ma hanno fatto sapere di pensarla come chi era presente. Peccato, erano tanto dispiaciuti per non aver potuto partecipare a una bella rimpatriata coloniale a base di graspacho andaluso e paella valenciana. Si sono riuniti a Madrid, dicono, perché a Cuba è proibito. Se fossi al vostro posto (ma al vostro posto non ci so stare) la prossima volta mi riunirei in Madagascar, ché magari fa più caldo, è un’isola, sentite meno la nostalgia, mangiate banane fritte, aragosta e avocado.
Parla pure Reinaldo Escobar, dice che non tutta l’opposizione è rappresentata nel documento e che esperimenti simili fatti in passato sono sempre falliti. Forse sarebbe il caso di chiederselo, qualche volta, il triste motivo. Capita, Reinaldo, quando il rimedio è peggiore del male. E allora, in attesa che i nostri dissidenti a piede libero tornino nella patria matrigna - dove nessuno torce loro un capello - io mi dissocio con forza da questo documento del cazzo. Vorrei una Cuba diversa, cara mamma, vorrei una Cuba libera, ma non sono un dissidente. O meglio: non sono come loro!

Fumettisti cubani all'opera

 
Garincha commemora Paco De Lucia
 
 



Omar Santana racconta la questione Ucraina

giovedì 20 febbraio 2014

Venezuela ribelle

La situazione in Venezuela, nelle vignette di LAUZAN e di GARRINCHA

LAUZAN


Maduro (protetto dalle truppe armate) grida ai ribelli: "Fascisti!"

GARRINCHA



Maduro (in fuga mentre uno studente sta per lanciarli una pietra):
"Colpo di Stato! Colpo di Stato!"

giovedì 13 febbraio 2014

Non sei tu amore mio, è stato Santiaguito

di Yoani Sanchez
www.lastampa.it/generaciony 

Protagonista della sua generazione, Santiago Feliú è stato per anni il cantautore della Nuova Trova che più ho ascoltato. I suoi temi si discostavano dalla logora poetica dei suoi contemporanei fino a creare uno stile personale e inimitabile. I suoi testi erano caratterizzati da una certa asprezza che proveniva dalla vita reale, privi di manierismi ma intrisi di poesia. Santiago occupava un posto di primo piano tra tanti altri che un tempo erano stati ribelli per poi diventare cantanti di regime, tra quei capelloni che ormai si tagliavano i capelli alla militare e molti alternativi trasformati in funzionari con la guayabera (camicia bianca tropicale, ndt).
Personaggio amato nei circoli, l’autore di “Para Bárbara” frequentava salotti, suonava la chitarra, beveva rum e si circondava di persone che pendevano dalle sue note. In certe occasioni ha suonato anche in casa nostra e ci meravigliava vederlo tartagliare quanto non intonava una melodia. Come l’albatros di Baudelaire che vola alto, ma è tremendamente goffo quando cammina sul ponte di una nave… in questo caso di una nave arenata. Era sempre disponibile, affabile, umano, privo di ostentazione e di arroganza. Era uno di noi, uno come noi.
La sua morte, ci ha lasciato il ricordo di una chioma intatta, dei braccialetti multicolori legati al polso e di quei vestiti scuri diventati di moda. Aveva davanti a sé ancora tanta vita, tanti accordi; lui che era timido, irriverente, eternamente giovane. Ci ha lasciati, se n’è andato, come “questi giorni di merda che anche loro se ne andranno”. Per questa volta non ha avuto ragione, perché “non sei tu amore mio” e neppure tutti gli altri… ma è stato proprio Santiaguito, che alle prime luci dell’alba ha intonato la sua ultima nota, ha bevuto l’ultimo sorso e ci ha lasciati soli con la sua musica per sempre.
 

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

martedì 11 febbraio 2014

Conducta, il nuovo film di Ernesto Daranas


 
Non accetto più articoli impostati su luoghi comuni, della serie "A Cuba non sta cambiando niente", "Tutto va avanti come prima". Forse non sta cambiando il cubano medio (ma l'italiano medio non è migliore), interessato soltanto al benessere materiale e non curante della libertà, ma il mondo culturale cubano è in fermento e approfitta di inediti spazi di libertà. Prendiamo il cinema. Da martedì scorso il cinema Chaplin dell'Avana - il più importante, non una sala di terza visione, né un cinema provinciale - proietta Conducta, ultimo lavoro del regista cubano Ernesto Daranas. Non solo, il film è uscito anche nella programmazione dell'altrettanto centrale e conosciuto cinema Yara (il vecchio Radiocentro che Cabrera infante cita ne La ninfa incostante). Daranas l'abbiamo apprezzato nella sua pellicola d'esordio - purtroppo inedita in Italia, ma visibile in rete per chi mastica un po' di spagnolo - con una notevole opera prima: Los dioses rotos. Ne parleremo in seguito, magari dedicando un scheda particolareggiata a regista e film, ché lo meritano. Si tratta di un film che racconta la prostituzione e il suo sfruttamento come modo per sopravvivere nella Cuba attuale. Mica male come trasgressione. Adesso fa un passo avanti. Conducta si avvicina ai problema dei giovani che crescono in una società che garantisce un sistema scolastico gratuito ma inefficiente. Il film narra la storia di un "ragazzo problematico" e di una vecchia maestra - interpretata da Alina Rodríguez - che crede nella sua professione e la difende come una missione. Sono molti i momenti interessanti e marcatamente politici della pellicola. A un certo punto la maestra afferma: "chi dirige il paese è da troppo tempo al potere". Nessuno ha censurato il passaggio. Reporter indipendenti sostengono che il pubblico in sala applaude non appena termina la battuta. Non è importante stabilire se sia vero, forse si tratta solo di leggende metropolitane, visto il coraggio dei cubani residenti sull'Isola, la cosa importante è la libera circolazione di un film neppure troppo velatamente contestatario. Daranas inserisce persino la figura di un prigioniero politico, ed è la prima volta in un film cubano prodotto da ICAIC (ente pubblico per eccellenza che sorveglia e promuove la cultura), quando la maestra dice che il padre di uno dei suoi ragazzi è "prigioniero per problemi politici". Il padre del ragazzo compare in un momento successivo del film, ma quel che è importante non è mai demonizzato come un controrivoluzionario. Darans affronta il tema dell'apartheid legalizzato all'Avana, dove i cubani nati a Oriente sono relegati nei quartieri più poveri e marginali della capitale. Il regista analizza con dovizia di particolari la dura realtà della sopravvivenza nei quartieri poveri dell'Avana, ma anche l'incapacità di chi governa nel trovare soluzioni efficaci a certi problemi esistenziali. Gli interpreti del film - a parte la maestra - sono ragazzi presi dalla strada, privi di esperienze cinematografiche, che interpretano loro stessi, all'interno della realtà sociale che vivono. Un esperimento neorealista, per non dire pasoliniano. Tra gli attori professionisti ricordiamo: Alina Rodríguez, Yuliet Cruz, Silvia Águila e Aramis Delgado. Ci dicono amici blogger e corrispondenti indipendenti che le file di pubblico in attesa di vedere il film sono interminabili. Daranas sta riscuotendo un grande successo e - soprattutto - nessuno si è sognato di censurare la pellicola, come spesso accadeva in Italia negli anni Settanta in presenza di lavori giudicati troppo estremi. La novità importante, a mio modesto avviso, non è tanto l'interesse della popolazione avanera nei confronti di un cinema politico e di protesta, quanto la permissività di un governo che pare assumere contorni sempre meno dittatoriali.

Gordiano Lupi