lunedì 30 dicembre 2013

L'ultima burla dell'anno

di Alejandro Torreguitart Ruiz


Sì, lo so che sono un burlone, lo dice sempre mio padre quando gli rubo il Granma per farmi le sigarette con il tabacco della bodega, lo dice pure mia madre quando nascondo la pentola a pressione - quella che ha mandato mia cugina che vive in Italia e se la passa meglio di noi - e lei non sa come cuocere i fagioli per il congris di fine anno. Sono un burlone, è vero, ché se la vita non la prendi a ridere finisce che ti prende male e allora ogni tanto scrivo - poco, di questi tempi, ché da ridere c'è poco - e scavo dentro le nostre miserie, di solito ho da far cose più serie...
L'ultima burla dell'anno la farei volentieri a un dissidente, guarda, così, tanto per cambiare, ché poi gli amici comunisti dicono che scherzo solo su di loro e mica va bene, per me son tutti uguali, bersagli da satira, impossibili da prendere sul serio. In un paese come questo governanti e oppositori pari sono, fanno ridere, se tu li guardi da fuori - un poco oltre il nostro manicomio - ti chiedi sogno o son desto? ma poi fai mente locale su quest'isola, dove conta più un culo di mulatta che tante idee di libertà, e ti rassegni. L'ultima burla dell'anno la farei a un dissidente a caso, gli manderei un biglietto omaggio per un volo in qualche parte del mondo, gli direi che ha vinto il premio viaggiatore spericolato 2013, che ogni tot voli Cubana de Aviacion ne sorteggia uno gratis, inventerei una convention sui diritti umani da qualche parte del globo e ce lo spedirei, magari in Alaska, così si raffredda un pochino la testa e si calma, ché qui - come diceva il vecchio Alarcon - è tutto un parti parti di dissidenti. E che ce la faranno i cieli del mondo a contenere questa folla di cubani che viaggiano? Ah, Alarcon mio, era meglio se da giovane andavi a Varadero, guarda, ché questi volano, sai? Mica ci fanno caso alla congestione dei cieli. Non hanno nessun rispetto per il traffico aeroportuale. Ho visto il tuo amico Eliecer con il colbacco, la figlia di Payà con la pelliccia, Yoani Sanchez vestita da birmana... ho visto cose che voi umani non potreste neppure immaginare. Ma a Cuba tutto è possibile, persino che Leonardo Padura Fuentes faccia il Ministro della Cultura, dopo aver dato il Premio UNEAC a una poetessa che scrive liriche d'amore, ermetiche, ... certo, se ne sentiva il bisogno, in un paese come questo se non parli d'amore di cosa parli? Poesie sul baseball non se ne possono fare, credo, anche se in Italia mi dicono che Umberto Saba, un po' di tempo fa, le scriveva sul calcio. Povero Arenas, che sono settant'anni che sei morto, qui ti seppelliscono di nuovo, se prima non li seppelliamo noi con una risata, magari leggendo ad alta voce l'ultimo inedito di Cabrera Infante. Guillermo mio, che vivevi a Londra e dopo morto ti strabordano i cassetti di pagine inedite, mica te li avrà scritti Miriam Gomez tutti questi libri? Burle e dubbi, ma anche la burla d'un dubbio, tanto per darci un tono shakesperiano. So di non sapere e di non valere, ché quando morirò nessuno scriverà per me le mie cazzate. Questo è certo. Dimenticavo. Buon anno a tutti, che il 2014 ci porti qualcosa di buono. Meno viaggi e più idee, magari.   

L'Avana, 30 dicembre 2013
Alejandro Torreguitart Ruiz

Traduzione di Gordiano Lupi

mercoledì 25 dicembre 2013

Ancora una volta dicembre


di Yoani Sanchez 
da www.lastampa.it/generaciony

Dodici mesi e siamo ancora una volta qui. Giorni per valutare le cose fatte e per rimandare al nuovo anno tutto quel che non siamo riusciti a compiere. Che cosa è cambiato a Cuba - e in ognuno di noi - da quel dicembre del 2012 in cui tracciavamo identico bilancio? Poco e molto. Nel mio piccolo spazio personale, mi sembra che tutto si sia mosso a un ritmo insolito, anche se per la vita di una nazione è soltanto un semplice fremito, di una leggera scossa. Gennaio è cominciato con la Riforma Migratoria e nei mesi successivi in molte occasioni abbiamo pronunciato la parola addio. Certo, non avevamo più quella vecchia sensazione di non ritorno, di uscita definitiva e di esilio per la vita, ma lasciavamo comunque il paese a una velocità preoccupante, restando soltanto nomi sull’agenda telefonica. La nostra condizione di “isola in fuga” si è accresciuta, anche se compresa in un ambito legale che la consente e la definisce.
Le differenze sociali sono diventate sempre più aspre. Il numero dei mendicanti e delle persone che frugano nella spazzatura è cresciuto. Malgrado ciò, molte auto moderne hanno cominciato a circolare per le nostre deteriorate strade e più di un nuovo ricco ha trascorso le vacanze sull’altra sponda dell’Atlantico. Questo 2013 sarà ricordato per le testimonianze diverse ed estreme che si sentono in giro. Aneddoti di famiglie che hanno aperto ristoranti di lusso nel cuore dell’Avana e di altre che non bevono più caffè perché non possono pagare il prezzo di mercato. Persone che attendono fuori da una boutique per comprare un paio di scarpe da tennis Adidas e gente che staziona fuori da una sala da pranzo, in attesa degli avanzi. Viviamo tempi di grandi contrasti, giorni di foto stonate scattate nel laboratorio della vita. Nel corso dell’anno che sta per finire, inoltre, il discorso ideologico si è dissociato ancor più dalla realtà. 
La repressione, da parte sua, è aumentata. Nella stessa misura in cui la società civile è cresciuta e ha cominciato a guadagnare determinati spazi. La battaglia per il monopolio informativo, in questo 2013, l’ha persa il governo e l’hanno vinta le reti clandestine di audiovisivi, notizie e libri digitali. Abbiamo potuto renderci conto meglio di quel che accadeva, ma da lì a poter convocare riunioni e assemblee la strada è ancora lunga. La vita è diventata più cara per tutti, i privilegi e i vantaggi si sono concentrati in un’elite situata molto in alto, la lotta contro la corruzione ha colpito alcuni, ma molti l’hanno fatta franca. Le rimesse giunte dall’estero insieme al sussidio venezuelano, hanno evitato il collasso, ma i numeri rossi mettono in evidenza il fallimento delle riforme economiche. Di sicuro non sono servite a offrire ai cubani una vita migliore, un valido motivo per non abbandonare questo paese.
Il mondo ci ha impartito alcune lezioni: ricordo le immagini di Kiev dove molti hanno perso la paura. La figura di Fidel Castro si è fatta sempre più sbiadita, in quella lunga morte in vita che dura da sette anni. E la libertà? Vediamo se ce la faremo a ottenerla nel 2014.

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

lunedì 23 dicembre 2013

La satira di Garrincha e Santana



A Cuba auto per tutti. La riforma secondo Omar Santana.

- Adesso possiamo comprae un'auto senza dover attendere il permesso del governo!

- Senza dover attendere il permesso di nessuno comprai quest'auto nella dittatura precedente!



Garrincha vede Raul Castro comodamente seduto sul trono, mentre brinda con vino rosso e allunga i piedi su un cane chiamato BLOQUEO (Embargo).
La scritta in alto dice: "Si prevedono 2.700 milioni di dollari di rimesse da parte degli emigranti verso Cuba". In questa situazione: "Viva el bloqueo!", pensa il leader cubano

L'esiliato che torna a Cuba


Sarà un film pessimista, dal tono tragico, molto cubano, ma che toccherà temi universali come la fedeltà, l'amicizia, il tradimento, la paura, l'odio, la disillusione...

Laurent Cantet torna a parlare di Cuba con un nuovo film che sta preparando con protagonista una generazione segnata dal dramma dell'esilio, ispirandosi a una storia di Leonardo Padura Fuentes: Il romanzo della mia vita, sceneggiatore del progetto ideato dal regista francese. Cantet conosce la realtà cubana, ha già realizzato uno dei sette cortometragi che compongono Sette giorni all'Avana, pellicola corale del 2011, sceneggiato anche in tale occasione da Padura Fuentes. Quel film è stato galeotto, perché ha dato il via a un progetto chiamato provvisoriamente Ritorno a Itaca, titolo che ricorda il romanzo postumo di Cabrera Infante, Mappa disegnata da una spia (2013), nato con tale denominazione. Il film racconta - con toni drammatici e sentimentali - il nuovo incontro tra Amadeo, un cubano emigrato in Spagna, e la sua isola, dopo 15 anni di esilio. Un tema difficile, che tocca le nuove riforme migratorie e una situazione che ha colpito diverse generazioni di cubani, soprattutto quella di cui fa parte Padura Fuentes. Non è solo un film per cubani, perché amicizia, amore, tradimento, lontananza dalla terra natale, esilio, sono valori e problemi comuni in ogni latitudine. Gli interpreti del film sono quasi tutti cubani: Jorge Perugorría, Isabel Santos, Néstor Jiménez, Fernando Hechavarría. Il film è prodotto da Full House e Haut et Court (Francia), da Panache Productions e La Compagnie Cinématographique (Belgio). Le riprese cominceranno nell'estate del 2014. 

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

sabato 21 dicembre 2013

Auto nuove in vendita a Cuba


Il Consiglio dei Ministri ha decretato una nuova normativa finalizzata alla vendita di auto moderne - nuove o usate - a qualunque persona fisica, cubana o straniera. Due anni dopo l’emanazione del Decreto 292 - una legge che limitava la possibilità di vendere auto solo agli scambi di vecchi modelli tra cittadini privati - la realtà si è imposta ai programmi ideologici e ha obbligato il governo a prenderne atto. Adeso è possibile acquistare nelle concessionarie di Stato veicoli nuovi di zecca e auto usate di recente fabbricazione. Si potrà acquistare solo nelle reti di vendita statali, al prezzo che il governo deciderà e - con tutta probabilità - pagando in contanti.

La nuova legge è stata accolta con entusiasmo dalla nascente classe media, frutto delle liberalizzazioni castriste, ben felice di aggiungere un'auto nuova come perfetto status-symbol.  Certo, aumenteranno le differenze sociali, già cresciute in maniera drammatica negli ultimi cinque anni, anche se la retorica politica continua a parlare di uguaglianza e di opportunità per tutti. Comprare auto nuove riguarda solo chi lavora nel privato e guadagna bene in pesos convertibili. Per i cubani della strada niente è cambiato. Per loro continua a essere difficile anche possedere una bicicletta usata. 

(Fonte: Yoani Sanchez - Generacion Y)

lunedì 16 dicembre 2013

FIDEL CASTRO E' VIVO



Fidel Castro ha diffuso una nuova "prova di esistenza in vita", dopo lo strano silenzio seguito alla morte di Nelson Mandela, "suo vecchio amico", che ha prodotto le solite elucubrazioni di stampa sull'ennesima presunta morte. Se Fidel fosse morto per ogni volta che è stata annunciata la sua scomparsa avrebbe avuto più vite dei gatti... E in fondo - adesso - è la cosa di cui c'importa meno, perché Fidel è soltanto un padre della patria, un santino da esporre per gli ospiti in vita, una figurina da collezione del grande album rivoluzionario. Cuba sta cambiando ed è Raul che la modifica, insieme ai volti nuovi del Partito Comunista, mettendo in campo una svolta cinese che il fratello non avrebbe condiviso. Permessi di uscita, attività private, relazioni con gli Stati Uniti, investimenti stranieri... credete che se il vecchio fosse ancora nei suoi cenci - come si dice in Toscana - le avrebbe permesse?
Diario de Cuba pubblica oggi una foto dell'incontro tra l'anziano caudillo e il giornalista "inginocchiato" Ignacio Ramonet, avvenuto lo scorso 13 dicembre all'Avana, in occasione del diciannovesimo anniversario del primo incontro tra Fidel con Hugo Chávez (13/12/94)", scrive il periodico ufficiale Cubadebate.
"Per oltre due ore hanno parlato del recente libro di conversazioni tra Ramonet e il Comandante bolivariano intitolato Hugo Chavez. Mi primera vida", scrive il portale di regime. Fidel Castro e Ramonet hanno affrontato il tema delle "recenti elezioni municipali in Venezuela", conversando di "attualità politica e su temi mondiali di ecologia". Avranno parlato anche dell'enorme fabrica di Eternit che sovrasta il paesaggio marino di Santiago de Cuba e che inquina da anni la città dell'Oriente cubano? Fidel Castro non scrive una Riflessione su Granma dal mese di agosto. 

Gordiano Lupi

mercoledì 11 dicembre 2013

Strette di mano e pessimismo cosmico

 

Yoani Sánchez mi ha stupito, alcuni giorni prima della storica stretta di mano di Barack Obama a Raúl Castro, avvenuta a Johannesburg, durante i funerali di Nelson Mandela, evento epocale, salvo non si voglia dar credito alle battute dei comici (“Mi sa che non l’ha riconosciuto!”, ha detto Fiorello). Mi ha stupito perché dopo tanti pezzi dimenticabili, giornalismo di modesto livello, dalle fontane che non buttano più acqua ai pezzi di maiale che tardano ad arrivare sul mercato, ha sfornato un lungo articolo, quasi un saggio dal tono cupo e pessimista. “Ogni frustrazione è figlia di un eccesso di aspettative”, potrebbe essere la chiosa del testo scritto da una Yoani con i capelli bianchi, scettica e disillusa. “Questo sistema è ormai morto”, dice “ma è ancora un morto vivente di cinquantaquattro anni”. La blogger afferma di non credere alle soluzioni facili. Sa che arriveranno tempi duri. Non ci sarà un muro di Berlino, ma una trasformazione grigia e burocratica. Non solo, ci dice che nel futuro tutte le bugie saranno svelate (il paese più colto del mondo, la mortalità infantile…) e ci saranno persino i nostalgici castristi. A noi italiani non racconta nulla, vero? I nostalgici del fascismo sono ancora in Parlamento, camuffati o meno, così come le balle dei treni che arrivavano in orario e della grandezza imperiale sono state presto smascherate. “Quando c’era lui, caro lei!”, è un refrain con cui ho convissuto fino a oggi. Yoani prevede sin d’ora la stanchezza e la noia della democrazia, sa che i cubani smetteranno presto di votare (non hanno ancora cominciato!), vaticina che non tarderanno a rifiutare il ruolo di cittadini. Arriverà un nuovo populista. Non ci racconti niente, cara Yoani. In Italia - dopo il fascismo - abbiamo mai avuto una democrazia compiuta? Siamo passati dai governi per procura dei democristiani (amministravano l’Italia per conto degli Stati Uniti e della Fiat) al populismo berlusconiano che guidava il Paese come un gigantesco network televisivo. E adesso siamo ancora alla ricerca del nuovo populista, di chi la spara più grossa, ma la sa raccontare. Parli di valori, Yoani? Forse in Italia esistono i valori? Ne ha diffusi di più la Rivoluzione Cubana, almeno in teoria. Il consumismo contagerà Cuba, dice Yoani, come ha contagiato ogni democrazia occidentale, forse anche lei se n’è resa conto, da quando gira per il mondo. L’economia governerà Cuba, come governa l’Europa e gli Stati Uniti. Il Dio denaro al posto del Capitale e del comunismo, o di quel che resta dell’idea comunista. I vecchi gerarchi cambieranno divisa, com’è accaduto in Italia dopo la fine del fascismo. Conosciamo la storia, dopo il 25 aprile tutti erano antifascisti. A Cuba saranno tutti anticastristi e chiederanno un premio per aver contribuito a far cadere il regime. La conclusione è che il futuro potrà essere peggiore del presente per mancanza di preparazione e per assenza di un tessuto sociale forte. E allora? Non si comprende il motivo per cui Yoani abbia scritto questo pezzo. Forse per mettere le mani avanti, per poter affermare, di fronte a eventi prevedibili, quanto poco auspicabili: “Io ve l’avevo detto”. Certo, Yoani, la democrazia è difficile, è una sfida che si combatte ogni giorno contro noi stessi e contro le tentazioni autoritarie. Il problema è che tu scrivi certe cose per preparare una giustificazione al futuro, perché sai bene che a Cuba il tasso di politicizzazione è molto basso e che la maggior parte dei cubani pensa soltanto a chiamare i parenti residenti all’estero per farsi mandare denaro e cerca di lavorare il meno possibile. Un popolo simile non scenderà mai per strada a reclamare libertà. Un popolo simile sta bene sotto un regime populista, che tutto sommato consente a molti di vivere discretamente e ad altri di sopravvivere facendo poco o niente. Il resto della popolazione, invece, sogna soltanto la fuga, l’Europa, gli Stati Uniti, ma non per nobili ideali, il solo motivo che guida l’esodo in massa è il denaro, il consumismo, il sogno del benessere. Salvo rendersi conto che nel punto di approdo prescelto, lontano dal castrismo, bisogna lavorare. Ecco, a questo i cubani proprio non sono preparati e a tale prospettiva spesso si ribellano. E tornano in patria, dove in un modo o nell’altro riescono a inventare il modo per tirare avanti. Ne ho conosciuti tanti così, qualcuno di questi esemplari viveva vicino a casa mia, cubani rientrati al paesello dove tirano avanti senza fare niente con i soldi di appartamenti italiani dati in affitto. 
Troppo pessimista? Realista, direi. E non ditemi che sono un sognatore quando sono pessimista. No, perché i capelli bianchi li ho davvero, la mia non è finzione letteraria. Il sogno d’una cosa lo lascio agli altri. E se ho bisogno d’un mito rileggo Pasolini o traduco un inedito di Guillermo Cabrera Infante. 

Gordiano Lupi 

L’articolo integrale di Yoani si può leggere qui:
http://www.tellusfolio.it/index.php?prec=%2Findex.php&cmd=v&id=16778

martedì 10 dicembre 2013

L'Impero e i diritti umani

 
 
Poliziotto cubano: - Non voglio manifestazioni in favore dei diritti umani, perché tutto questo è pagato con il denaro dell'Impero.
Donna cubana. - Bene... E io che voglio manifestare gratis?
Poliziotto cubano: - E' proibito lo stesso.
 di Garrincha
da Martì Noticias

domenica 8 dicembre 2013

Chimere, transizioni e scenari 

 

Testo che ho pubblicato nel numero 19 della rivista Voces
 (http://www.scribd.com/doc/189905295/Voces-19) 

“Ogni frustrazione è figlia di un eccesso di aspettative” mi ripete un amico quando non si concretizzano le rosee previsioni che sono solita fare. Gli ultimi decenni della mia vita - e di tanti cubani - sono stati un susseguirsi di pronostici incompiuti, scenari non concretizzati e illusioni finite in archivio. Una sequenza di cabale, riti di previsioni e sguardi verso la luna, che si scontrano davanti a un’ostinata realtà. Siamo un popolo di Nostradamus frustrati, di indovini falliti, di profeti che fanno una previsione dietro l’altra, ma non ne azzeccano alcuna.  
 

Gli anni Novanta sono stati, nella nostra storia nazionale, un periodo caratterizzato da una grandissima concentrazione di vaticini incompiuti. Ricordo di aver immaginato la gente per strada, gridando libertà, in una rivolta pacifica che - sotto la pressione di necessità e miseria - avrebbe cambiato tutto. Era la mia adolescenza, pure noi eravamo una società imberbe…ma anche adesso le cose non sono cambiate.  Per questo crediamo nel miraggio del prima e del dopo e di un evento che prima o poi traccerà un solco definito nel calendario nazionale; immaginiamo di andare a letto pensando al cambiamento politico e di ottenerlo prima che sorga il sole. Come ogni popolo bambino, crediamo nei maghi. Quei personaggi con la bacchetta, la pergamena o la tribuna, che risolveranno tutto. 
 

Fu così che accadde. Ma non assomigliava per niente a quel che avevo immaginato. Eravamo nell’agosto del 1994, ma la gente scese in strada non con la volontà di cambiare il paese dal suo interno, ma solo per fuggire dall’isola e raggiungere un altro posto per vivere. Non vidi bandiere al vento, non udii grida di Viva Cuba Libre!, ma solo porte divelte per costruire zattere e un lungo e prolungato addio nella nostra costa nord. Il mio saggio amico mi ripeté: “Te l’ho detto, resti delusa perché le tue speranze sono sempre eccessive”. 
 

Sono passati vent’anni, la società non è ancora matura ma sulla mia testa sono cominciati a spuntare alcuni ostinati capelli bianchi. Adesso so che tra il desiderio e gli eventi nella maggior parte dei casi esiste una frattura, una diversità insondabile. Sono diventata pragmatica, ma non cinica. Tutto quel che ho appreso dalla realtà - parafrasando un buon poeta - non è tutto quel che esiste nella realtà. Quando mi sono svegliata pensando: “Questo sistema è ormai morto”, sono rimasta colpita dalla sua capacità di essere un “morto vivente” di cinquantaquattro anni. 
 

Per questo adesso non credo più alle soluzioni accompagnate da sorrisi e abbracci per strada. Arriveranno tempi duri. La transizione sarà difficile e non ci sarà neppure un giorno per celebrarla. Molto probabilmente non ci saranno scene di giubilo e canti. Siamo arrivati tardi a tutto, persino al cambiamento. Le immagini del muro di Berlino che cade a pezzi, sono state possibili soltanto una volta. A noi toccherà - e qui azzardo un’altra previsione - una trasformazione grigia, senza foto ricordo. 
 

Un giorno dopo il castrismo… se dopo il castrismo ci sarà un giorno 

Un giorno ci guarderemo indietro e ci renderemo conto che il castrismo è caduto o che semplicemente ha smesso di esistere, portando via con sé i miei migliori anni, ma anche quelli di mia madre e di mio figlio. Forse sarà meglio così, non avremo un altro primo gennaio, non dovremo contemplare foto di signori dal profilo greco con le colombe addestrate a posarsi sopra le spalle. Forse sarà meglio un cambiamento passato sotto l’acqua dello sconforto, che un’altra rivoluzione carnivora capace di divorarci tutti.  
 

Neppure dopo avremo molto tempo per i festeggiamenti. Saremo travolti dalle false statistiche e ci troveremo a fare i conti con il paese reale. Ci renderemo conto che l’indice di mortalità infantile non è quello che ci hanno detto durante tutti questi anni, che non siamo il popolo “più colto del mondo” e che le casse della nazione sono vuote… vuote… vuote.   A quel punto sentiremo molti dire in coro: “Con Raúl Castro si stava meglio”. Dovremo cambiare il nome alla Sindrome di Stoccolma per ubicarla in queste zone tropicali.  
 

Arriverà il momento della responsabilità, un concetto che pochi sono preparati a capire. Essere protagonisti della nostra vita e mettere “Papà Stato” al suo posto, senza protezionismi ma anche senza autoritarismi. La democrazia è profondamente noiosa, così noi ci annoieremo. Non ci saranno più quella paura permanente di essere ascoltati e quel panico che un vicino o un amico possano essere delatori della Sicurezza di Stato. Allora, sarà interessante vedere se oseremo dire a voce alta quel che pensiamo, o se preferiremo lasciar manipolare comodamente il nostro silenzio dai politici del futuro. 
 

Le prime elezioni libere ci vedranno presenti di buon mattino nei collegi elettorali, per conversare sorridendo. Tuttavia, al terzo o quarto appuntamento con le urne l’astensionismo interesserà quasi la metà della popolazione. Fare il cittadino è un lavoro a tempo pieno, voi sapete bene che non siamo abituati al lavoro efficiente e costante, così come non siamo tenaci. Per questo probabilmente delegheremo ancora una volta la nostra responsabilità a qualche populista “dalla parola forbita” che ci prometterà il paradiso in terra, assicurando che nel dilemma tra “sicurezza e libertà” lui farà grande attenzione a salvaguardare la prima. Cadremo nella sua trappola, perché siamo un popolo bambino, un popolo imberbe. 
 

Le cicatrici impiegano molto tempo a guarire, ma le nuove ferite compaiono rapidamente. Una triste combinazione tra alto livello professionale e basso livello etico ci farà inghiottire bocconi amari. Non mi meraviglierei se diventassimo un mercato della produzione e del traffico di droga. Sarà una delle tante eredità del castrismo: un popolo rapace, un paese in cui la parola valori risulterà scomoda… non necessaria. 
 

La virata verso il consumo più feroce sembra anch’essa inevitabile. Anni di razionamento, di mancanze e di tristi mercanzie dalle etichette antiquate, spingeranno le persone a gettarsi con foga sul mercato. Passerà molto tempo prima di veder nascere movimenti ecologisti che sostengono cibi naturali, così come sarà lontano il tempo della moderazione al posto dello spreco. La voglia di possedere, comprare, esibire sarà in primo piano, facendo parte dell’eredità di un sistema che predica l’austerità mentre la sua cupola esercita l’edonismo. 
 

I gerarchi cambieranno pelle, come camaleonti, li vedremo rinnegare le idee del passato. Li vedremo sostituire l’ideologia con l’economia, il manuale di marxismo con il manuale d’impresa, le uniformi verde oliva con abiti in giacca e cravatta. Parleranno di necessaria riconciliazione, di oblio e diranno: “Siamo tutti un popolo”. Passeranno dal meeting di ripudio all’amnesia, ma continueranno a vigilare, perché chi è stato delatore lo sarà sempre.  
 

Le persone che un tempo sono state critiche nei confronti del governo risulteranno profondamente scomode a questi convertiti dell’ultima ora. Perché guardandole si ricorderanno di non aver fatto niente per cambiare le cose, di aver taciuto per codardia o per opportunismo. Per questo avranno tra i loro obiettivi anche quello di seppellire quello che una volta fu il settore dissidente cubano. Lo utilizzeranno e lo metteranno da parte. Ascolteremo le storie di gente malmenata  e incarcerata raccontate da anziani che facevano parte della sicurezza sociale; proprio come oggi vediamo boxeur olimpici mentre chiedono l’elemosina per strada. Le medaglie del passato saranno come ferite per i cinici del futuro… non ci sarà spazio per l’eroismo, una virtù scomoda. 
 

Gli eventi nei libri di scuola saranno modificati. Molte statue saranno ritirate e il loro posto verrà preso da altre di cui dovremo imparare il nome, oltre a ricordare di portare i fiori in occasione degli anniversari. Una nuova epopea prenderà il posto della precedente. Saranno in molti a sostenere di essere stati oppositori e di aver collaborato “a far cadere il castrismo”, così tanti che oggi potrebbero costituire una forza civica di un milione di individui. Ci sarà una gara per stabilire chi ha avuto più meriti nel cambiamento e per decidere chi dovrà fregiarsi di un maggior numero di decorazioni sul risvolto della giacca. Pretenderanno - come compenso - un posto nell’amministrazione pubblica, una pensione, una menzione in un manuale di storia. 
 

Cattive previsioni, buona preparazione 

Stanca di lanciare fiori al futuro e di immaginarlo luminoso, sono arrivata a credere che dipingendolo con toni oscuri ci metteremo più energia per cambiarlo. È già tempo di pensare al domani, perché il castrismo è morto anche se cammina, respira, stringe il pugno. Il castrismo è morto perché il suo ciclo vitale  si è esaurito da tempo, il suo ciclo di illusioni è stato molto breve, il suo ciclo di partecipazione non è mai esistito. Il castrismo è morto e bisogna cominciare a progettare le cose da fare il giorno dopo del suo funerale.  
 

Sono ansiosa di leggere proposte e programmi che pianifichino le alternative con le quali confrontarsi un’ora dopo che il feretro di questa cosiddetta rivoluzione riposerà sotto terra. Dove sono i progetti per quel momento? Siamo preparati per affrontare un cambiamento grigio, senza eroi, né muri caduti, ma che prima o dopo si verificherà? Sappiamo come andremo ad affrontare i nuovi problemi che sorgeranno, le difficoltà che spunteranno da ogni lato e che esistono anche oggi, ma vengono messe a tacere e sono occultate?

 
  
Se saremo pronti per affrontare il peggiore degli scenari possibili, sarà un segno di maturità che ci aiuterà a superarlo. La società civile giocherà in ogni caso un ruolo molto importante. Solo rinforzando quella struttura sociale eviteremo di cadere nelle braccia del prossimo ipnotizzatore politico o nelle reti del caos e della violenza. Non cerchiamo presidenti - verranno da soli - cerchiamo cittadini. 

 

Dimentichiamoci del fiume di gente che celebra una vittoria per strada e del Ministro degli Interni che apre i suoi archivi per sapere chi ricoprì un ruolo da informatore. Molto probabilmente non sarà così. L’entusiasmo della manifestazione pubblica è ormai esaurito e i documenti più rivelatori non esisteranno più, li avranno bruciati, se li saranno portati via. Siamo arrivati in ritardo alla transizione. Ma questo non significa che non sarà comunque positiva, che ci pentiremo di averla intrapresa. 
 

Almeno potremo cominciare tante cose da zero. Potremo abbeverarci alle esperienze e ai fallimenti altrui; ci renderemo conto di avere la possibilità di diffondere i semi della democrazia in un mondo dove molti cercano di raddrizzare un tronco che è nato storto. Se il nostro cambiamento non sarà positivo, avremo mezzo pianeta con l’indice puntato contro di noi per chiederci: “Questo era quel che volevate per Cuba? Questo era il cambiamento che desideravate così tanto?”. Senza scrivere frasi apologetiche, abbiamo una responsabilità non solo nei confronti della nostra nazione, ma con buona parte dell’umanità che ancora crede sia possibile passare con successo da un autoritarismo a un sistema democratico. 
 

La realizzazione è figlia di una sfida complessa 

So già cosa dirà il mio scettico amico quando leggerà questo testo. Riderà sotto i baffi e affermerà: “Anche quando sei pessimista, continui a essere una sognatrice”. Ma dovrà riconoscere che non sono più quella adolescente che sperava di svegliarsi un giorno sentendo grida di allegria per strada, di unirsi alla folla e di andare verso la statua di José Martí in Parque Central. Ormai so che non sarà così. Ma può essere molto meglio. 

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi 

Le foto sono state scattate durante il tour italiano di Yoani, a maggio 2013.

sabato 7 dicembre 2013

Mandela: imparare a perdonare

di Yoani Sanchez
www.lastampa.it/generaciony


Tra tutte le cose che si sono dette e che si diranno su Nelson Mandela, sono le piccole storie a emozionare di più. Le sue lunghissime giornate nel carcere di Roben Island (http://www.robben-island.org.za/), dove il rancore cedette il passo alla lucidità. Una grata che scorreva, una piccolissima finestra da dove filtrava uno spiraglio di luce, alcuni uccellini che cantavano fuori. In quel luogo, Madiba vinse i suoi demoni e riuscì a rinunciare a quella violenza che aveva fatto parte della sua vita. Fu un lungo percorso dalla formazione del braccio armato “Umkhonto we Sizwe”, fino a diventare un paladino della lotta pacifica. Fu una conversione autentica, non dettata da convenienza e opportunismo, ma scaturì dal suo intimo, come avrebbe dimostrato la successiva attività politica.
Nato nel 1918, Mandela visse un secolo convulso, caratterizzato da guerra fredda e leader a caccia di protagonismo, anche a danno dei loro popoli. Visse un’era di grandi nomi e di piccoli cittadini, nella quale a volte fu più importante stabilire chi faceva una determinata cosa, piuttosto che il motivo per cui veniva compiuta. Fu classificato terrorista non solo dal regime razzista sudafricano di quel periodo, ma anche dalla stessa ONU. Una volta in prigione, il recluso 466 dedicò molto tempo a meditare su ciò che aveva fatto e su quale avrebbe potuto essere il percorso migliore per far uscire il suo paese dalla segregazione razziale e dall’odio. La sua trasformazione personale influì in modo determinante su come si riuscì a smantellare l’Apartheid.
Tanti statisti cercavano di restare ben saldi al potere per diversi mandati e parecchi decenni, invece Mandela fu Presidente del Sudafrica soltanto per un lustro. L’uomo nato nel villaggio di Mvezo fu talmente saggio da rendersi conto che il dialogo e la negoziazione erano la via giusta per cambiare una nazione così ferita. Tra tutte le istantanee della sua vita, i sorrisi accennati e gli abbracci dispensati, io preferisco l’immagine di un prigioniero che tra le sbarre incontrò se stesso. Il Premio Nobel della Pace consegnato nelle sue mani non è così commovente come immaginarlo affamato, addolorato, impaurito e, nonostante tutto, immerso nei suoi pensieri di perdono, pace e riconciliazione.
Alla tua memoria, Madiba! 

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

giovedì 5 dicembre 2013

Muore il padre del disegno animato cubano


Il regista e sceneggiatore di cartoni animati Tulio Raggi, considerato un pioniere del genere a Cuba, anticipatore di Juan Padron e del suo Elpidio Valdés, è morto all'Avana, all'età di 75 anni.

Raggi ha firmato pellicole molto note a tutta l'infanzia cubana: "El negrito cimarrón" (1975), "El primer paso de papá" (1977) e "Las orejas de Canela" (1985), considerati classici del cartone animato caraibico.

Raggi debuttò nel 1965 con "El capitán Bluff", dirigendo oltre 60 film, alcuni vincitori di prestigiosi premi nazionali e internazionali.

Tulio Raggi ha collaborato alla direzione di alcuni episodi del più famoso personaggio animato cubano, Elpidio Valdés, e alla serie Filminuto. Laureato in Storia dell'Arte, ha studiato Diritto Civile e Diplomatico, oltre a Teoria della Musica, solfeggio e piano al Conservatorio.
 
Gordiano Lupi

martedì 3 dicembre 2013

Finestra su Cuba


Apriamo la nostra finestra cubana con una vignetta di Omar Santana che ironizza su recenti fatti .
Raul Castro: - Ah, il popolo! Non solo beve alcol fatto dal legno... ma si preoccupa pure per qualche acquazzone!.
La battuta sottolinea la distanza tra un popolo che vive in condizioni di miseria e un governante che beve Chivas e non sa che gli acquazzoni sono dei veri e propri tornados. Non solo. Vista la situazione abitativa di gran parte della popolazione, una tempesta tropicale è in grado di distruggere tetti e pareti degli appartamenti (spesso in legno) in breve tempo.
Non solo umorismo. Il governo ha fatto sapere che ci vorranno tre anni per applicare la riforma monetaria e per avere la tanto sospirata moneta unica. La speranza è che il tempo richiesto per attuare il programma serva a concedere la possibilità a tutti i cittadini di elevare il potere di acquisto (adesso scarso) del peso nazionale. Intanto è Natale, molti addobbano le case con l'albero, tradizione prerivoluzionaria che sta prendendo sempre più forza, anche se non è usanza delle classi povere. La grande festa cubana resta l'ultimo giorno dell'anno, con la cena a base di maiale allo spiedo, ricorrenza da tutti sentita, che non ha niente a che vedere con la festa politica (ingresso di Fidel all'Avana) del giorno successivo.
Concludo con una triste notizia che mi porta un amico dell'Associazione di Amicizia Italia - Cuba di Piombino, che vuole restare anonimo, di ritorno da Santiago. Nella città più grande dell'Oriente è attiva da anni una fabbrica di amianto (stile Eternit di Casale Monferrato) che in questo periodo ha raddoppiato la sua grandezza e sforna quantitativi enormi di manufatti. Inoltre sta inquinando tutto il mare circostante, perché i residui della lavorazione dell'amianto sfociano in mare. A Cuba si sta preparando un dramma umano di dimensioni epocali, visto che moltissime abitazioni (per non dire quasi tutte) sono costruite con il tetto di amianto e dato che l'Eternit viene comunemente usato in edilizia. Noi che sappiamo - dopo aver vissuto il dramma di Casale - cosa voglia dire morire d'amianto dovremmo fare in modo di tenere ben desta l'attenzione su simili problematiche. Cuba non è la sola nazione americana a usare l'amianto, anzi, in tutto il centro - sudamerica si registra un uso notevole del pericoloso materiale. In ogni caso è un problema che va denunciato. Sono queste le notizie che vorremmo leggere dai blogger indipendenti, invece di ripercorrere i soliti leitmotiv su quanto è utile Internet e sul gran bene che fa Twitter alla democrazia...

Gordiano Lupi