domenica 22 settembre 2013

Commerciante, una brutta parola



di Yoani Sánchez
da Generacion Y - La Stampa


Se la realtà potesse personificarsi, entrare in un corpo, avere contorni fisici, se una società potesse essere rappresentata come un essere vivente, la nostra sarebbe un adolescente nel periodo della crescita. Una persona che si vede allungare braccia e gambe, che desidera scrollarsi di dosso il paternalismo e diventare adulto. Ma quel ragazzo imberbe, indossa un vestito così stretto che non riesce quasi a respirare. La nostra quotidianità è rimasta schiacciata dal corsetto di una legalità fatta di eccessive proibizioni e di un’ideologia antiquata e poco funzionale. Dipingerei così la Cuba di oggi, perché una forma di pubertà repressa, rappresenta bene il contesto in cui vivo.
Il governo non pare propenso a riconoscere le nostre necessità di espansione economica e politica. Al contrario, tenta di costringerci in forme assurde. Basti vedere il caso del limitato numero di occupazioni consentite per il lavoro “per conto proprio”, quel settore che in qualunque altro paese sarebbe definito “privato”.  Invece di ampliare il numero di licenze per includere molte altre attività di produzione e servizi, le autorità pretendono di ritagliare la realtà in maniera tale da farla ricadere nell’elenco delle cose consentite. La legge non cerca di incentivare creatività e talento, ma è come una briglia stretta che limita il campo di azione individuale.
L’ultimo esempio di questa contraddizione lo vediamo con le azioni di polizia contro chi vende vestiti importati, che provengono fondamentalmente da Ecuador e Panama.  Secondo i media ufficiali molti di questi mercanti hanno utilizzato una licenza da “Sarto” che consentiva di commercializzare gli articoli prodotti con le loro macchine da cucire, per offrire invece camicie, pantaloni e borse di confezione industriale. I trasgressori sono stati puniti con il sequestro della mercanzia e con multe esorbitanti. In questo modo gli ispettori pretendono di far indossare alla nostra realtà la camicia di forza di quanto stabilito dalla Gazzetta Ufficiale.
Invece di tanta persecuzione sarebbe opportuno autorizzare il lavoro del “commerciante”. Comprare, trasportare e rivendere articoli molto richiesti non dovrebbe essere considerato un delitto, ma un’attività regolata da contribuzione fiscale tramite imposte. Negare  questo meccanismo strategico dell’ingranaggio di ogni società significa ignorare la struttura economica sociale. L’apparato legale di una società non esiste per condannarla all’infanzia del piccolo chiosco, della manifattura e della vendita di frittelle, ma per aiutarla a progredire professionalmente e materialmente. Fino a quando il governo cubano non accetterà queste regole elementari dello sviluppo, la nostra realtà dovrà crescere allungando le braccia verso illegalità e clandestinità.

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

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