sabato 27 aprile 2013

LA STAMPA parla di Yoani e di IN ATTESA DELLA PRIMAVERA


Anna Masera su LA STAMPA del 27/4/13
L'arrivo di Yoani al FESTIVAL DEL GIORNALISMO di PERUGIA
Il colloquio con Mario Calabresi e il mio libro
IN ATTESA DELLA PRIMAVERA

REPUBBLICA parla de IN ATTESA DELLA PRIMAVERA


Omero Ciai su REPUBBLICA del 27/4/13
Intervista Yoani Sanchez e parla de IN ATTESA DELLA PRIMAVERA

IL FOGLIO parla de IN ATTESA DELLA PRIMAVERA


Maurizio Stefanini da IL FOGLIO del 27/4/13

Yoani all’Isola del pensiero


La terza edizione del foro #NEThinking2013 ha avuto inizio venerdì a La Isla del Pensamiento. La blogger cubana Yoani Sánchez è tra i partecipanti. Fino a sabato 27 aprile, si parlerà di comunicazione e gestione dei contenuti Internet. L’evento raduna i principali referenti internazionali della blogosfera, le reti sociali e i media digitali in lingua spagnola. Si tiene nel piccolo arcipelago di San Simón, in Spagna, e viene trasmesso da San Simón TV, TerraTV e dal sito twitter, @illasansimon. Yoani Sánchez, invitata nelle edizioni 2011 e 2012 di questo evento, non aveva potuto partecipare a causa del divieto di uscire dal paese imposto dal governo cubano. Questa volta, Yoani potrà scambiare le sue conoscenze informatiche con altri esperti di reti sociali e comunicazione telematica, oltre ad altri artisti, scrittori e giornalisti che lavorano principalmente in rete.

Domenica 28 aprile, invece, Yoani arriva in Italia: Festival del giornalismo di Perugia. Incontrerà Mario Calabresi, direttore de La Stampa, presso la sala de’ Notari, alle ore 19. Lunedì 29 aprile, la blogger sarà ricevuta in Consiglio Comunale a Torino, alle ore 15; subito dopo parteciperà a una video chat presso il quotidiano La Stampa, infine - alle ore 21 - presenterà il libro In attesa della primavera al Circolo dei Lettori. Il 30 aprile, ore 17, sarà al Teatro Manzoni di Monza per parlare di Cuba e per assistere alla proiezione del film di Pierantonio Maria Micciarelli, Soy la otra Cuba. Poi volerà di nuovo, alla volta di Ginevra… in attesa di tornare nella sua Cuba.

 

Gordiano Lupi

lunedì 22 aprile 2013

Attendendo Yoani



Conosco virtualmente Yoani Sánchez circa cinque anni fa, grazie a una mia amica cubana, Andria Medina, che vive in Italia e quando scrive come blogger si fa chiamare Gaviota. Un giorno mi passa un link di un sito sconosciuto: Generación Y e mi invita a leggere un post intitolato Le due Avana, scritto da una certa Yoani Sánchez. Scocca subito la scintilla, perché mi rendo conto di trovarmi di fronte una cubana coraggiosa, per niente apatica e conformista, che dice le stesse cose che ho sempre pensato durante i miei viaggi e le lunghe permanenze a Cuba. In un primo momento mi sembra impossibile che a scrivere su quel blog sia davvero una cubana. Nutro il ragionevole dubbio che ci sia qualcosa sotto, un nickname, un’agente governativo, un trucco del castrismo. Potenza della propaganda! Non riesco ad accettare che a Cuba qualcuno abbia il coraggio di raccontare la vita quotidiana del presunto paradiso tropicale (dal quale tutti vogliono scappare!), rifuggendo da vieti luoghi comuni. Nonostante tutto comincio tradurla, con passione, per un sito Internet italiano: www.tellusfolio.it, una rivista telematica della Valtellina, trascurando i miei piccoli libri, dedicandomi anima e corpo a quei racconti che mi ricordano da vicino la mia Cuba, soprattutto L’Avana povera che conosco troppo bene, una città che non profuma di Chanel numero 5 e di formaggio parmigiano, ma di fogna e disperazione. Proprio per questo mi è cara. E lotto per lei, perché le cose un giorno possano cambiare. Mi dico che tradurre Yoani Sánchez e altri autori della comunità blogger, come Orlando Luis Pardo Lazo, ma anche Heberto Padilla, Virgilio Piñera, Felix Luis Viera, Guillermo Cabrera Infante, è il solo modo possibile per fare la mia parte nella costruzione di una Cuba libera. Yoani Sánchez un giorno mi scrive una lettera, con semplicità, per chiedermi di collaborare traducendo il blog, curando la versione italiana. Per me è un sogno che si avvera e che Mario Calabresi rende ancora più concreto, chiamandomi a gestire il blog sul sito Internet de La Stampa. Contribuire a diffondere il vero volto di Cuba è il compito che mi sono prefissato e che continuo a fare con la collaborazione del mio amico Massimo Campaniello, ideatore della rivista digitale Nuova Cuba (http://nuovacuba.wordpress.com/).

 
E adesso sono qui, in attesa di conoscere Yoani, dopo quasi sei anni che collaboro con lei en la distancia, condividendo le sue idee parola dopo parola, traducendola ogni giorno, al punto da essere in grado di sapere come risponderebbe a una domanda insidiosa. Non avrei la sua diplomazia, questo è certo. Neppure il suo carisma. A ognuno il suo ruolo, come dicevano i latini. Yoani viene letta regolarmente in tutto il mondo, mentre a Cuba il suo sito risulta oscurato. E poi anche se non lo fosse sarebbe impossibile per i cubani seguire i suoi post, perché la connessione domestica non è consentita, a meno che non si faccia parte dell’apparato - vedi Silvio Rodriguez - e un’ora di connessione da un Internet Point costa 10 dollari. Una somma ingente per un cubano. In ogni caso il gruppo dei blogger diffonde il suo pensiero tramite CD, chiavette USB, pagine stampate. Yoani è sempre più conosciuta, anche per merito della stampa e della televisione cubana che la cita in senso negativo per definirla mercenaria.


In Italia mi onoro di aver contribuito non poco a farla conoscere anche grazie a La Stampa di Mario Calabresi, sensibile sin da subito nei confronti di una voce libera. È impossibile tornare da Cuba e non conservare un senso di profonda tristezza e di delusione di fronte alla scoperta di quel che poteva essere e non è stato. A Cuba c’è un capitalismo di Stato che mantiene l’economia saldamente nelle sue mani e al popolo toccano le briciole. Il doppio sistema monetario mette in ginocchio la popolazione che vive in abitazioni cadenti, fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, deve scegliere tra il mangiare e il vestire decentemente. Il solo modo di sopravvivere è il furto nei confronti dello Stato, il mercato nero e il sottobosco illecito legato al turismo (prostituzione, vendita prodotti contraffatti, affitti di case illegali, taxi in nero…).


Yoani lo sa e lo scrive ogni giorno, per ricordare al mondo che le cose non stanno come dice la propaganda. Non è sola nella sua lotta. Ho conosciuto José Conrado, parroco di Santiago, uno dei firmatari della lettera al Congresso statunitense dove si chiede una limitazione dell’embargo e la sua progressiva scomparsa, ma anche riduzione delle limitazioni di viaggio verso Cuba per i cittadini nordamericani. Pure Yoani Sánchez e Reinaldo Escobar sono tra i firmatari, perché sono consapevoli che la fine dell’embargo voglia dire fine delle scuse per il governo cubano e dimostrazione di una totale inefficienza. L’embargo non toglie ossigeno al potere ma lo toglie al popolo, quindi è giusto che finisca, perché sarebbe la prima mossa per favorire il cambiamento. L’intervento della Chiesa Cattolica è importante perché può favorire il cambiamento di Cuba in senso democratico e verso il rispetto dei diritti umani. Ci sono altri giovani in gamba che lottano, come Eliecer Avila, Rosa Maria Payá, Guillermo Fariñas, Berta Soler, accanto a dissidenti storici come Elizardo Sanchez. Ma su tutti c’è lei: Yoani Sánchez, la nostra Godot, che attendiamo con ansia nella sua prima visita italiana.


Tra tutte le cose che faccio per promuovere in Italia la conoscenza del processo di cambiamento cubano, credo che “Yoani Sánchez - In attesa della primavera” rappresenti uno strumento importante per conoscere gli ultimi sei anni della storia cubana, attraverso la vita di un blog come Generación Y, che ha contribuito a cambiarla. Non si possono rinchiudere le idee in una galera, come ha già detto qualcuno. E Yoani ne è la dimostrazione vivente.

Gordiano Lupi, 22 aprile 2013

domenica 21 aprile 2013

Venezuela diviso a metà



Quando si occultano le notizie o si trasmettono sistematicamente in maniera distorta, può capitare che un semplice evento metta allo scoperto una così prolungata manipolazione informativa. È proprio quel che è accaduto con le elezioni venezuelane e il modo in cui sono state riportate a Cuba dalla stampa ufficiale. Scomparso Hugo Chávez e cominciata la campagna presidenziale, tanto la televisione quanto la carta stampata dell’Isola si sono arrogati il compito di dimostrare quanto fosse poco popolare il candidato dell’opposizione Henrique Capriles. Ogni giorno, per cominciare bene la mattina, la televisione nazionale assicurava che Nicolás Maduro avrebbe trionfato nelle elezioni. Tutti predicevano una vittoria schiacciante.


Per questo nella notte di domenica scorsa, quando finalmente sono stati resi noti i risultati elettorali, la maggior parte dei cubani non è riuscita a capire cosa fosse accaduto. La poca differenza di voti tra Maduro e Capriles ha sorpreso chi aveva creduto al periodico Granma quando parlava dell’immenso sostegno popolare su cui poteva contare il “presidente sostituto”. Certamente, la modesta differenza tra i due candidati, meno di duecentocinquantamila voti, non aveva niente a che vedere con i pronostici fatti dalla propaganda ufficiale cubana. La realtà è che le urne hanno messo in evidenza un Venezuela praticamente diviso in due, una situazione polarizzata nella quale governo e opposizione possono contare sul sostegno di milioni di cittadini. Una nazione divisa a metà, che vive uno scontro ideologico forte e che sembra imboccare la strada di una crisi di grandi proporzioni.


Adesso per la stampa cubana sarà più difficile parlare del Venezuela come di un paese monocolore, votato a un solo partito. Abbiamo ascoltato il responso delle urne che è molto distante da quella unanimità - che ci hanno voluto far credere - e dal sostegno totale a Nicolás Maduro.

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

sabato 20 aprile 2013

Intervista a Yoani Sánchez - Risposte agli internauti


Redazione de El País, 19 aprile 2013


Puoi dirci la tua opinione sulla sinistra europea, dai partiti socialisti alla sinistra antisistema. Dove ti posizioni ideologicamente?

In realtà mi considero una persona trasversale, postmoderna, non amo definirmi con le classiche schematizzazioni politiche. Nonostante tutto, credo che in generale la sinistra europea sia stata troppo complice del totalitarismo cubano. In alcuni casi per miopia, per il desiderio di credere che l’utopia aveva trionfato nella nostra isola caraibica, in altri per semplice antimperialismo, del tipo più manicheo.

Come vedi una risoluzione del possibile conflitto tra le due Cuba, quella di Miami e quella vera e propria dell’Isola?

Dopo aver trascorso alcuni giorni a Miami, sono ancora più convinta che la soluzione dei grandi problemi nazionali dovrà passare necessariamente dal lavoro congiunto di queste “due Cuba”, come tu le chiami. Non dobbiamo più chiamarci cubani dell’Isola e cubani di fuori, siamo cubani e basta. Gli esiliati cubani giocheranno un ruolo importante nella transizione: abbiamo bisogno delle loro conoscenze imprenditoriali e democratiche. Abbiamo bisogno di quella parte di Cuba che loro hanno conservato vivendo lontani.


Hai fatto molti viaggi in diversi paesi. Come paragoni i diversi sistemi politici?

Continuo a pensare che a Cuba viviamo in un capitalismo di Stato, guidati da un clan familiare che non ci lascia neppure il diritto di protestare. Il governo è padrone di quasi tutti i mezzi di produzione e da questa proprietà guadagna un elevato plusvalore. In atri paesi ho visto molte ingiustizie, ma nonostante tutto - a differenza della nostra nazione - in molti di quei posti si ha la sensazione che in futuro le cose potranno migliorare, speranza che noi cubani abbiamo perduto da tempo.

Se davvero il cittadino cubano è pronto per il cambiamento, è consapevole di quel che comporta? Perché una cosa è quel che pensiamo, un’altra è la dura realtà.

In realtà non siamo preparati al cambiamento. Ma nessuno è preparato al nuovo. Forse le madri sono preparate a partorire un bambino, curarlo e allevarlo ogni giorno, svegliandosi di buon mattino? Si apprende a essere madre soltanto dopo aver messo al mondo un figlio. A essere liberi, s’impara con la libertà.


Che importanza hanno le reti sociali sullo scenario politico e sociale di molti paesi? Come credi che si svilupperà la situazione in Venezuela? Che consiglio daresti ai milioni di venezuelani che chiedono un cambiamento?

Non credo che soltanto la tecnologia ci renderà liberi, ma penso che le reti sociali e i nuovi strumenti tecnologici aiuteranno a costruire società più democratiche, pluraliste e partecipative. Nel mio caso, i blog, Twitter, Facebook e i telefoni mobili sono stati un percorso di allenamento civico. Raccomando ai venezuelani di non farsi rinchiudere in una prigione. Io che vivo in una gabbia insulare, posso assicurare che è molto più importante il rischio di volare liberi che la modesta dose di miglio che ci concedono dopo aver chiuso le sbarre.

Puoi dirci chi finanzia il tuo viaggio in così tanti paesi?

Certamente. Ho risposto a questa domanda un’infinità di volte durante questo viaggio. Sono andata in Brasile con un biglietto comprato grazie a una colletta fatta via Internet, in maniera pubblica e trasparente. Chiunque avrebbe potuto contribuire in forma civica e spontanea. Nella Repubblica Ceca sono stata invitata dal Festival di Cinema One World, che ha coperto ogni spesa, come è normale in questo tipo di eventi. In Messico sono stata invitata dall’Università Iberoamericana, a New York dal Baruch College, in Olanda da Amnesty International… a Miami da mia sorella esiliata che ha messo da parte il denaro per invitarmi, in Perù da alcuni amici che ho conosciuto all’Avana quando facevo la guida della città. Infine sono arrivata in Spagna su invito dell’Editorial Anaya, per la quale ho pubblicato un libro, de El País, periodico dove scrivo con frequenza, e di molti amici che mi leggono e che mi sostengono. Non mi è mai mancato né un tetto né qualcosa da mangiare. La mia vera ricchezza sono gli amici! Ma non si deve sapere…


Se a Cuba c’è tanta repressione, manca la libertà di espressione e si imprigionano i dissidenti, perché tu sei libera e puoi criticare così duramente il regime?

Sono contenta di rispondere a questa domanda. A Cuba c’è una forte repressione, io stessa sono stata vittima di molte forme di repressione: botte, arresti arbitrari, diffamazione senza diritto di replica, divieto di uscire dal mio paese in venti occasioni, minacce alla mia famiglia e vigilanza costante. Il fatto che sia uscita dal mio paese non è una concessione magnanima di Raúl Castro, ma una mia piccola vittoria dopo aver lottato a lungo contro le imposizioni governative.

A Cuba buttano fuori di casa i cittadini con la forza e li lasciano per strada come accade da noi?

Sì, accade anche a Cuba. Basta leggere le denunce di sfratto che ci sono in rete e che non hanno mai avuto risposta. Non solo, molti cubani vengono dichiarati residenti illegali all’Avana e subito deportati a Oriente. “Mal comune mezzo gaudio” (in cubano è più esplicito: male di molti consolazione per gli sciocchi, ndt), si potrebbe dire, ma il fatto che voi abbiate gravi problemi non può farci tacere i nostri.


Pensa ancora che Gabriel García Márquez non meritasse il Nobel?

Quando avrei mai detto una cosa simile? Prima di fare una domanda come questa, per favore, citi la fonte delle mie presunte asserzioni. Non si lasci confondere dalle campagne di diffamazione… Ammiro la letteratura di Gabo e sono una gran lettrice della sua opera, nessuno come lui ha meritato il Nobel. Conservo gelosamente la mia copia, letta un’infinità di volte, di Cent’anni di solitudine.

Non crede che se a Cuba si vivesse così male il popolo si sarebbe ribellato? Non mi risponda dicendo che c’è la repressione, c’era anche sotto Franco, ma la gente scendeva per strada a protestare.

La paura è la sola spiegazione della mancata ribellione. I cubani esprimono il loro disaccordo emigrando… verifichi le cifre di quanti se ne sono andati.


Tornerai al tuo paese dopo aver visto come si vive fuori?

Tornerò, perché per me “la vita non è in un altro luogo ma in un’altra Cuba” e voglio aiutare a costruire dall’interno la Cuba che desidero.

Considera il sistema neoliberale che si è imposto in gran parte del mondo un’alternativa adeguata per sostituire il sistema vigente a Cuba?

Il sistema attuale cubano è già profondamente neoliberale… ci pagano in una moneta che non basta neppure per sopravvivere, il solo sindacato legale è nelle mani dell’unico governo consentito, non esiste diritto di sciopero, i licenziamenti abbondano… conosce un sistema più liberale?


Crede davvero che la maggioranza della popolazione cubana desideri un cambiamento verso un sistema capitalista? Quale crede che sia il modello migliore per l’isola?

Ho detto spesso che Cuba vive da molto tempo in un sistema capitalistico. Dobbiamo smettere di credere alla propaganda del “socialismo” cubano, un sistema che maschera il peggiore dei capitalismi. Credo che la gran maggioranza dei cubani voglia vivere in un sistema che garantisca più partecipazione e meno proibizioni.

Alcuni anni fa sono stata a Cuba e sentivo molte persone dire che avrebbero voluto un modello di transizione democratica alla spagnola. In realtà la nostra non è stata così perfetta… Come crede che sarà la transizione cubana?

Abbiamo il vantaggio di poter imparare dagli errori altrui, visto che abbiamo impiegato così tanto tempo per arrivare al cambiamento. Inoltre abbiamo l’opportunità di cominciare da zero. Dobbiamo definire per tempo una buona legge sui partiti e un finanziamento trasparente per garantire la politica della Cuba futura. Nessuna transizione è uguale a un’altra. Troveremo il nostro cammino… senza copiare nessuno, spero.

 
Lei condanna l’imposizione di sanzioni economiche degli Stati Uniti nei confronti di Cuba?

Ho espresso la mia posizione persino davanti al senato degli Stati Uniti, quindi con la sua domanda piove sul bagnato. Ritengo che l’embargo nordamericano sia il pretesto più grande che in questo momento possiede il governo cubano per giustificare il degrado economico e la mancanza di libertà. Credo che debba finire quando prima.

Cosa ne pensa della base navale di Guantánamo occupata dagli Stati Uniti? Non dovrebbe tornare di proprietà cubana?

La Base Navale di Guantánamo un giorno tornerà a essere proprietà dei cubani, ma OCCHIO… dei cubani… non dell’attuale governo di Cuba. Sono due cose diverse. Quando saremo un paese democratico, rispettoso del pluralismo, molto probabilmente questo argomento diventerà prioritario.


Yoani, lotti con coraggio per la libertà. Prima del 1959, a Cuba le disuguaglianze erano notevoli. Adesso non tutto è perfetto. Ci sono i privilegiati del sistema, è vero. Ma anche gli altri cubani godono di un sistema sanitario e di un sistema educativo, possiedono una casa - anche se cadente - e mangiano ogni giorno. In tutta l’America Latina ci sono condizioni di miseria, molti non hanno neppure la millesima parte di quel che possiedono i cubani. Come dovrà essere lo sviluppo economico di Cuba per evitare di fare quella fine?

In realtà da molto tempo non è vero che a Cuba non esistono differenze sociali. La Cuba attuale si divide tra coloro che hanno accesso alla moneta convertibile (dollari mascherati) e gli altri che devono vivere solo con il salario (pagato in pesos cubani). Si tratta di una Cuba dura, brutale, con grandi sacche di povertà. Il problema principale è che “Robin Hood” sa togliere le ricchezze ai ricchi per distribuirle ai poveri, ma non sa creare ricchezze… quando queste finiscono… alla fine tutti restiamo poveri.

Yoani, lei è diventata una dissidente perché l’ha voluto o perché la dittatura castrista con la sua persecuzione l’ha resa famosa? Si sarebbe mai immaginata di arrivare a questo punto?

Ogni uomo dipende dalle circostanze. Fidel Castro sarebbe stato lo stesso uomo se non fosse esistito Batista? Non credo… Inoltre non mi considero una dissidente, qualifica importante che meritano più di me altri attivisti cubani, ma una cronista della realtà. Il problema è che a Cuba la realtà è profondamente dissidente. La realtà nella nostra Isola è la negazione costante della retorica ufficiale.

Ha mai pensato di realizzare un reportage sulle condizioni di vita delle piccole realtà dell’interno di Cuba - luoghi dove l’oscurantismo politico ed economico sono più aggressivi – per stigmatizzare le differenze sociali che esistono rispetto all’Avana?

Lo faccio costantemente. Mi reco spesso nelle piccole cittadine dell’interno di Cuba per impartire corsi, per insegnare ad attivisti politici come si usa Twitter grazie a un telefono mobile non collegato a Internet. La mia piccola soddisfazione è che adesso in molte di quelle realtà periferiche c’è gente che racconta quel che accade usando 140 caratteri, grazie ai miei corsi. Il mio motto è: “raccontati a te stesso”.

Cosa pensi della reazione di Henrique Capriles e dei suoi dubbi sulla regolarità delle elezioni in Venezuela? Credi che Maduro accetterà un risultato diverso dopo aver contato di nuovo i voti?

La richiesta di contare di nuovo i voti è stata molto giusta. Non credo che Nicolás Maduro accetterà un risultato sfavorevole, ma non c’è peggior battaglia di quella che non si combatte.

Come pensi che sia possibile evitare le disuguaglianze sociali ed economiche in un sistema parlamentare? Nei sistemi democratici, infatti, il divario tra ricchi e poveri cresce sempre di più…

A Cuba le differenze sociali sono abissali. Per esempio tra un gerarca in verde oliva e un cittadino comune c’è un abisso grande quanto tra un re e un semplice operaio, forse anche di più. La casta che governa Cuba ha potere di vita e di morte, decide sull’educazione dei nostri figli, sul medico che deve visitarci, sulla nostra libertà di movimento… Il sistema parlamentare, nel nostro caso, servirà a ridurre certe differenze, farà in modo tale che una “casta di eletti” non possieda un potere così grande su ogni dettaglio della nostra vita quotidiana.

Come le sembra il giornalismo che si produce fuori da Cuba? È proprio come se lo attendeva?

Mi è sembrato un giornalismo con luci e ombre, moderno, in crisi, ma ogni crisi produce un parto. Ogni crisi implica una rinascita. Purtroppo, all’interno di Cuba, quel che si produce in ambito ufficiale non si può neppure chiamare giornalismo. Inoltre, i miei colleghi giornalisti indipendenti, blogger e giornalisti civici corrono molti rischi per ogni parola che scrivono, per ogni denuncia che fanno. Spero che un giorno non lontano i cubani potranno fare giornalismo senza rischiare di perdere la libertà e di essere linciati dai media ufficiali.

Traduzione di Gordiano Lupi

mercoledì 17 aprile 2013

Le minacce a Yoani


di Jorge Ramos Avalos
da El Nuevo Herald


Le minacce della dittatura dei fratelli Castro contro la blogger cubana Yoani Sánchez sono state dirette. Me l’ha raccontato lei stessa durante un’intervista a Miami: “Sono stata arrestata, malmenata ma non mi sono mai preoccupata. Ma l'ultima volta che mi hanno arrestata un ufficiale della sicurezza mi ha detto: Tuo figlio va in bicicletta? Che faccia attenzione. Queste parole mi hanno fatto molto male”.

Yoani sa di essere vulnerabile a causa del figlio Teo, 18 anni, in età per fare il servizio militare obbligatorio. “Sì, lui è il mio punto debole”, riconosce. Sa bene che può subire gravi rappresaglie per le cose che dice. Ma continua a parlare. Perché? “Chiaro che temo le rappresaglie. ma che devo fare? Penso che il modo migliore per proteggermi sia proprio continuare a parlare”. Nonostante queste minacce così dirette, appena finito il suo giro del mondo in 80 giorni, rientrerà a Cuba. “Andare in esilio? Non ne ho nessuna intenzione”, mi ha detto. La sua vita è Cuba.


Il suo tour è straordinario, tipico di una persona che non ha mai viaggiato e che, alla prima opportunità, vorrebbe mangiarsi il mondo. Il permesso di uscita le è stato negato per anni, ma finalmente Yoani ce l’ha fatta. Da perseguitata politica all'interno dell'Isola, fuori da Cuba - nonostante il regime dell'Avana - è diventata una specie di celebrità. Sono stato testimone di un fatto incredibile. Quando Yoani ha visitato Miami, l'attore - regista cubanoamericano, stella di Hollywood, Andy García voleva conoscerla. “È una donna molto coraggiosa”, mi ha detto Andy. Lui è andato a prenderla prima di una presentazione e l’ha invitata a pranzo. Ma i ruoli si sono invertiti: la stella era Yoani. Andy, con molta semplicità, si limitava ad ascoltarla.


Questo accade con Yoani. No puoi fare a meno di ascoltarla. Lei ti racconta com'è la Cuba di oggi, non quello che si sono inventati all'estero. Ovunque si presenta, non importa quale paese, riempie gli auditori. Quasi mezzo milione di persone la seguono su Twitter (@YoaniSanchez) e la dittatura cubana non ha armi adeguate per combattere una persona così coraggiosa, forte e trasparente.

“Cuba è l'isola dei non connessi”, mi ha detto durante una breve pausa. “Cuba mi sembra così assurda da lontano; vivo in un castello medioevale, perché non c'è libertà, perché il governo stesso si comporta come un signore feudale; è tutto molto triste e quando siamo all'estero si sente ancora di più.”


“Ogni giorno che passa sempre più persone si rendono conto che viviamo in una dittatura”. Ma puoi dire che Cuba è una dittatura senza avere problemi?, le chiedo. “Dico la prima sillaba e già mi metto nei guai. Ma mi alzo ogni giorno pensando che devo comportarmi come una cittadina libera”.

Yoani si descrive come una “cronista della realtà”. Nient’altro. Ma è molto di più. Lei si è trasformata nel simbolo del cambiamento a Cuba. Altri hanno tentato ma non ci sono riusciti. Molti sono morti cercando di farcela. Yoani, invece, continua a colpire con una logica infallibile una dittatura in pieno secolo XXI che non ha elezioni libere e pluraliste, che limita ferocemente la libertà di espressione, che incarcera e assassina dissidenti, e che si muove in senso contrario alla maggior parte dei paesi del mondo.


Yoani dice sempre: “I miei capelli sono liberi e io pure”. Si tocca la nera chioma che le scende lungo i fianchi. E aggiunge una cosa che può sembrare strana per una persona che non ha smesso di parlare da quando è uscita da Cuba: “Sono una persona molto timida”. Insiste che la sua missione è "spiegare Cuba a chi non c'è mai stato".La blogger ci introduce nella sua vita quotidiana: “Sono iperattiva. Da quando mi alzo faccio un sacco di cose. Amo la mia vita familiare”. Il regime la controlla, spesso la fa arrestare. Il suo cellulare, un iPhone che le ha regalato la sorella (“un telefono monco perché privo di connessione internet”) è regolarmente bloccato e messo sotto controllo. Ormai è abituata al fatto che la dittatura castrista racconti la balla che è un’agente della CIA, al punto che risponde con un sorriso: “Questa operazione si chiama uccidere il messaggero. Non controbattere le sue opinioni, ma annullarlo moralmente. No, non lavoro per la CIA. Non potrei mai lavorare per una realtà straniera, inoltre non ho mai militato in un partito politico”. Yoani si guadagna la vita con le cose che sa fare, come la maggior parte dei cubani. “Sono esperta di computer, lavoro con loro e li riparo. Inoltre scrivo su diversi periodici fuori dal mio paese”. Il suo primo viaggio all'estero è stato finanziato da diverse organizzazioni non governative e da sua sorella che vive negli Stati Uniti.


A Cuba sta cambiando qualcosa?, chiedo. “Stanno accadendo cose importanti, ma soprattutto mi rendo conto che i cubani sono stufi”. Può esserci castrismo senza i fratelli Castro? “Il carisma di questi leader non si trasferisce. A Cuba il seggio presidenziale è stato ereditato per diritto di sangue (Da Fidel a Raúl)… È triste che una nazione per riprendere vita debba riporre le sue speranze nella morte di una persona, ma ci hanno portato a questo”.

Yoani ama citare una frase di Gandhi: “I tuoi nemici prima ti ignorano, dopo ridono di te, infine ti attaccano”. Yoani sta vivendo la terza fase. Le minacce personali e nei confronti della famiglia, fanno parte della sua professione di giornalista. Ma sa di essere diventata il simbolo della speranza di libertà e di un cambiamento democratico a Cuba.

Cuba può cambiare? “Io da sola posso fare poco, ma siamo in molti". Qui trovate l'intervista televisiva con Yoani: http://jorgeramos.com/es/

Traduzione di Gordiano Lupi

martedì 16 aprile 2013

Yoani e il cambiamento

Yoani Sánchez è riuscita a compiere il miracolo che non era mai riuscito a nessuno: unire i cubani dell'esilio. La sua visita a Miami ha conquistato tutti, se si esclude la parte più oltranzista degli esiliati, quella “dura e pura” che non accetta compromessi e che rende difficile ogni tipo di dialogo.

Yoani non ha fatto concessioni a nessuno, ha detto chiaro che non crede all’embargo, pensa che sia un provvedimento antistorico e inutile, addirittura un alleato per il regime che lo usa per mascherare fallimenti politico - economici. Alcuni anni fa, Oswaldo Payá aveva cercato di dire cose simili, senza successo, ed era stato rifiutato dall'esilio cubano. Yoani no. Yoani ha affascinato tutti, grazie a un carisma naturale e a un modo non violento di esporre le argomentazioni. Yoani ha posto l’accento sull’unità, affermando che quel che importa è il popolo cubano, non il suo governo. “Il popolo cubano siamo noi tutti, anche i connazionali sparsi per il mondo, non solo i residenti a Cuba”, ha sostenuto. Partendo da tale considerazione si può impostare un cambiamento di prospettiva e di politica, che non favorisca l'isolamento di Cuba, ma un'apertura al mercato e al mondo. Yoani sostiene che Cuba sta cambiando, non tanto per le riforme, ma perché i cubani non sono più gli stessi. “Hanno imparato a informarsi, cercano le notizie con tutti i metodi illegali possibili, stanno abbandonando la maschera dell’opportunismo e l’apatia. Sono decisi a cambiare la loro patria, a renderla libera e prospera”, dice Yoani. la blogger ha lasciato un messaggio importante ai cubani della diaspora: tutti insieme possiamo ottenere dei risultati prima insperati. È vero che le opportunità per il cambiamento sono poche e imperfette, ma ci sono. Dobbiamo approfittarne tutti insieme, per non perderle. Questo è il senso della missione di Yoani Sánchez: lavorare per l’unità del popolo cubano e favorire il cambiamento. Siamo convinti che abbia tutte le carte in regola per ottenere successo, anche perché accanto a lei stanno crescendo figure come Eliecer Ávila e Rosa Maria Payà. 
 
Gordiano Lupi

domenica 14 aprile 2013

Venezuela: resta ancora la speranza


di Yoani Sánchez


L’aereo era appena atterrato a Panama, fuori dal finestrino un sole inclemente percuoteva il selciato. Mi aggiravo per le sale dell’aeroporto, cercando un bagno e un posto dove attendere la partenza del prossimo volo. Alcuni giovani in sala d’attesa mi indicarono con gesti e cominciarono a gridare il mio nome. Erano venezuelani. Si trovavano lì, proprio come me, in attesa della loro destinazione. Cominciammo a conversare in mezzo alla folla, tra valige che andavano e venivano, mentre gli altoparlanti annunciavano partenze e arrivi. Mi dissero che leggevano il mio blog e che comprendevano bene la situazione che stavamo vivendo sull’Isola. Chiesi ai miei interlocutori se volevano farsi una foto con me. I loro volti assunsero un’espressione allarmata e mi supplicarono: “Per favore, non la pubblichi su Facebook né su Twitter, perché ci causerebbe problemi nel nostro paese”. Rimasi allibita. I venezuelani mi ricordavano molto da vicino i cubani: erano timorosi, parlavano sottovoce, nascondevano tutto ciò che poteva comprometterli davanti al potere.


Quell’incontro mi fece riflettere su temi scottanti come il controllo ideologico, la vigilanza e l’eccessiva intromissione dello Stato in ogni dettaglio della vita quotidiana. Tuttavia, malgrado le similitudini tra quei giovani e i miei compatrioti, mi resi conto che a loro restavano alcuni spazi di libertà per noi irrimediabilmente compromessi. Tra gli spiragli ancora aperti, prima di tutto ci sono le elezioni. Oggi, domenica 14 aprile, i venezuelani si recano alle urne per decidere con il voto - nonostante tutti i giochetti di potere - il futuro immediato della loro nazione. A noi cubani questo diritto è stato tolto da tempo. Il Partito Comunista del nostro paese, in maniera abile, ha eliminato ogni possibilità di scelta tra le varie opzioni politiche. Consapevole che non avrebbe potuto gareggiare senza inganni, Fidel Castro ha preferito correre in pista da solo e ha nominato come unico sostituto una persona che, oltretutto, porta il suo stesso cognome. Se paragoniamo le due situazioni, possiamo dire che ai venezuelani resta ancora la speranza, mentre per i cubani rimane solo il rimpianto delle occasioni perdute.

Per questo motivo, visto che conosco la prigione dove vivo, raccomando ai venezuelani di non chiudere la sola via d’uscita sulla quale possono contare. Spero che quei giovani che ho incontrato nell’aeroporto di Panama adesso stiano esercitando il loro diritto al voto. Il mio augurio è che dopo questa giornata non debbano più temere rappresaglie per essersi scattati una foto con qualcuno, aver espresso un’idea o firmato una critica. Desidero che ottengano tutto quello che a noi è stato negato.

Traduzione di Gordiano Lupi

mercoledì 10 aprile 2013

Karen Caballero intervista Yoani Sánchez


Karen Caballero ha intervistato Yoani Sánchez per conto di Radio Tv Martí. Il video in spagnolo si può vedere al sito: http://www.martinoticias.com/. Riassumo con uno sforzo di sintesi domande e risposte. L’intervista a Yoani è intervallata da rapide apparizioni di Antonio G. Rodiles - direttore di Estado de Sats - che illustra il programma politico Por otra Cuba (porotracuba.org) e dalla lettura di alcuni articoli fondamentali tratti dalla Dichiarazione dei Diritti Umani.

La separazione familiare è il destino di tutti cubani. Tu come l’hai vissuta?

La separazione familiare fa parte del dolore di ogni famiglia cubana. Un dolore difficile da sopportare ma è la nostra vita. Ho riabbracciato mia sorella dopo due anni di separazione ed è stato un abbraccio doloroso. Cuba è vicina a Miami, un braccio di mare di pochi chilometri, ma è lontana per colpa di una folle ideologia e della repressione governativa. Poche miglia marine si trasformano in un abisso.


Miami è proprio come viene raccontato a Cuba?

No davvero. La propaganda governativa racconta una Miami dove vivono persone che odiano Cuba. Il discorso retorico parla di gusanos, di mafia, di nemici. In realtà la maggior parte delle famiglie cubane vive grazie ai parenti emigrati a Miami, sono i nostri esiliati a sostenere l’esistenza quotidiana di chi è rimasto in patria. Da un punto di vista architettonico, Miami è stupenda. Una grande città, pulita e moderna, con una vita culturale intensa, simile all’Avana, nonostante la differenza tra splendore e decadenza.


Cosa manca a Cuba per realizzare un vero cambiamento?

Il popolo cubano deve svegliarsi e lottare, perdere la paura, gettare la maschera e chiedere di essere ascoltato. Il vero nemico è l’apatia. Il governo fonda la sua forza sulla maggioranza silenziosa, che tace e va avanti, senza occuparsi di politica. Lo so bene perché anch’io sono stata apatica, ma dall’apatia ci si può svegliare, grazie all’informazione. Diffondere notizie a Cuba serve anche per sognare la libertà.


Spiegaci cos’è successo nella tua vita nel 2002, quando sei andata in Svizzera. Si parla di un matrimonio con un cittadino tedesco…

Se c’è una cosa che ho imparato da Fidel Castro è a non parlare della mia vita privata. Ci sono cose della mia vita che sono soltanto la mia vita, non devono appartenere ad altri. Alcuni studenti di tedesco, ai quali impartivo illegalmente lezioni di spagnolo, mi aiutarono a comprare il biglietto per andare in Svizzera, dove ho fatto un’esperienza meravigliosa. Ho lavorato in una libreria latinoamericana dove ho imparato a conoscere gli scrittori che a Cuba mi impedivano di leggere. La Svizzera mi ha dato molte opportunità, mi ha insegnato a programmare le mie attività con precisione, mi ha insegnato a lavorare con metodo. Ma io volevo tornare a Cuba. Provavo troppa nostalgia del mio paese e della mia famiglia. Per questo ho preso la folle decisione di tornare e di gettare la maschera, cominciando il mio esorcismo personale nel blog Generación Y.

È vero che sei favorevole alla eliminazione dell’embargo?

Certo, ma a condizione che tale provvedimento venga concordato con tutte le parti in causa, non è una cosa che riguarda solo il governo cubano e quello nordamericano, devono essere coinvolti anche il popolo residente sull’isola e l’esilio. L’embargo è solo un baluardo ideologico che va rimosso. Serve solo come motivazione per compattare il popolo contro un presunto nemico. Non è servito allo scopo.

Cosa pensi di Eliecer Avila e Rosa Maria Payá?

Tutto il bene possibile. Sono due grandi risorse per il futuro. Cuba non è completamente rossa o verde oliva, come pensano molti stranieri che sono stati a Cuba solo per una breve visita. Non è una nazione monocolore. Le sfaccettature sono molteplici. Eliecer Avila è un giovane che si è formato all’interno del Partito Comunista, eppure si è reso conto che la libertà è importante, che non è possibile crescere come paese se non si procede a un cambiamento radicale. Quando mi accorgo che a Cuba ci sono giovani come lui e come Rosa Maria Payá, ho molta speranza nel futuro. Il popolo cubano è stanco del discorso monocorde. Servono persone giovani e responsabili. A Cuba va depenalizzata la discrepanza, questa è la cosa più importante da fare. Io non possiedo le soluzioni a ogni problema, ma so che senza libertà di espressione e di associazione, senza la libertà economica, non potremo ottenere niente. Prima la libertà. Il resto verrà di conseguenza.


Nel 2007 hai cominciato a scrivere il blog Generación Y per parlare della realtà cubana. Tutti hanno cominciato a conoscerti nel mondo, ma non a Cuba.

Sono più conosciuta fuori dalla mia terra che a Cuba, ma non importa. A Cuba il governo detiene il monopolio informativo. Tu pensa che non conoscevo i Buena Vista Social Club: è stato uno straniero a parlarmene per la prima volta. In ogni caso mi rendo conto che la conoscenza dei cubani sulle mie attività sta aumentando, perché ci sono persone che mi fermano per strada, mi pongono domande e mi incoraggiano. A me piace lavorare in equipe e scambiare idee con gli altri. Il giornalismo è la mia carriera. Voglio continuare a comportarmi come una persona libera. Spero solo che Papà Stato non mi punisca per quel che ho fatto e che non decida di non lasciarmi più uscire da Cuba.

Per tuo figlio speri in un futuro migliore? Non temi che voglia espatriare come fanno molti giovani cubani?

Il problema di ogni madre cubana è che un figlio possa emigrare. Siamo nati e cresciuti in un simile situazione, purtroppo. Non credo che il sistema che stiamo vivendo durerà ancora per molto tempo, ma so che ci aspettano momenti difficili. In compenso sono sicura che avremo una Cuba pluralista che non penalizzerà più la discrepanza e la prosperità. Sono sicura soltanto di una cosa: tornerò a Cuba per lavorare a un cambiamento che porti l’isola verso la democrazia.


Gordiano Lupi

domenica 7 aprile 2013

Yoani Sánchez incontra Vargas Llosa

“Due libri di Vargas Llosa hanno cambiato la mia vita: La guerra del fin del mundo e La fiesta del chivo”.


Lima, 7 aprile 2013 - Yoani Sánchez è arrivata venerdì scorso a Lima, dove ha incontrato il famoso scrittore peruviano Mario Vargas Llosa. La conversazione tra i due è stata “interessante e amabile”, riferisce la blogger, che afferma di aver parlato di Cuba e letteratura.

“Ho raccontato a Vargas Llosa che grazie a La guerra del fin del mundo, vent’anni fa conobbi mio marito. Inoltre, dopo aver letto La fiesta del Chivo, ho chiuso con la mia professione di filologa, perché mi sono resa conto di quanto fosse frustrante fare la filologa a Cuba, un paese dove uno specialista del linguaggio non può comporre frasi liberamente”. Yoani Sánchez si trova ancora nella capitale peruviana, ma viste le precarie condizioni di salute non parteciperà ad alcun evento pubblico. “Ho dovuto cancellare il mio viaggio in Argentina perché sono completamente priva di voce. Le mia salute non mi permetteva di affrontare il viaggio e un nuovo evento pubblico. Ma non vi preoccupate sono sopravvissuta al totalitarismo, potrò superare anche stanchezza e afonia!”.

A questo punto non sappiamo se Yoani Sánchez anticiperà il suo viaggio in Spagna, per poi venire in Italia e in Svizzera.

Gordiano Lupi

sabato 6 aprile 2013

Dimmi che non ti amo

ME IT´S NOT TRUE

di Orlando Luis Pardo Lazo
da http://orlandoluispardolazo.blogspot.it/

New York, 25 marzo 2013


Aspetta la primavera, Bandini.

I passeri sono universali, uccelli forti come aerei da guerra. Gli scoiattoli sono gatti, diffidenti e miti, folli e rissosi. La neve è tiepida (mmm, mi spiace, questo particolare non è stato mai notato da nessun cubano in nessun altro secolo). Il sole è azzurro, traslucido, traditore: la temperatura si mantiene ancora vicina agli zero gradi Celsius, unità di misura sconosciuta negli USA. Come Google Maps ha creato la città di New York, così il web di Weather annuncia che continuerà a nevicare anche questo lunedì, pure l’equinozio è passato. Per la prima volta al mondo, è una primavera posticipata.

Wait for the Spring, Pardini...

Le linee della metropolitana sono espressione della libertà. Sono precise ed è impossibile perdersi se facciamo attenzione alle indicazioni composte di frecce e mappe. C’è chi suona chitarre, pianole elettriche, sax, in cambio di pochi spiccioli. Forse qui si scommette persino sulla misericordia, visto quanto rende chiedere l’elemosina, ma l’arte pop pare endemica. Quando si sente odor di barbone, tutti fuggono dal loro vagone. Fuggo anch’io, sebbene aneli a non avere mai più una casa per nascondermi da Cuba e spiare gli spasmi di New York.
La gente sembra nobile. Le persone risplendono di bellezza. Si intravede un futuro. Mi sorridono gli sconosciuti. Conosco soprattutto cubani, sono i miei nuovi vicini. Le cameriere sono un genere a parte, sembrano tutte intellettuali che lavorano part-time per terminare la loro grande trilogia di New York (perché è ovvio che un solo romanzo non basta).

I ponti salgono e si abbassano con la marea. Ho visto piccioni volare sul traffico di Times Square (come i passeri, anche loro sono uccelli formidabili, in giacca e cravatta). Negli iPhones ci sono applicazioni per posizionare bene le stelle, rendendo virtualmente inutile guardare il cielo. Il cielo è un’allucinazione, meglio comprare un hamburger insipido (il cibo negli USA mi sembra tutto senza sapore). Percorro boschi e parchi con piste di pattinaggio. Mi piacerebbe rompermi un piede (in teatro porta fortuna dirlo, e, inoltre, se accadesse non dovrei andarmene così rapidamente, perché le mie ossa si rimetterebbero in sesto con la nuova nazionalità americana).

Le biblioteche pubbliche sono un polo magnetico, chiostri che hanno tolto dall’illegalità i geniali ubriachi della letteratura nordamericana. Adesso restano pochissimi libri usati in vendita. Così scivola via il tempo esteriore dell’anima della mia nazione. Sono pronto, ma ancora non voglio mettermi in vetrina per essere assunto.

New York, matrigna magica e perfida, dimmi che non è vero. Dimmi che non mi sto innamorando di te.


Traduzione di Gordiano Lupi

mercoledì 3 aprile 2013

Yoani Sánchez si pronuncia contro l’embargo



Miami, 3 aprile 2013 - Yoani Sánchez ha difeso anche a Miami la sua posizione contro l’embargo statunitense nei confronti di Cuba. Ha auspicato un dibattito aperto tra tutti i gruppi colpiti dal provvedimento per togliere un blocco economico che si è rivelato inutile, oltre a essere ormai fuori dalla storia. Le parole di Yoani sono molto coraggiose, se si pensa che sono state pronunciate davanti a decine di esiliati, nel corso di una cena nel Country Club di Coral Gables. L’evento era stato organizzato dalla Fondazione per i Diritti Umani a Cuba e dalla fondazione Nazionale Cubanoamericana.

Yoani ha sottolineato la necessità scambiare idee e punti di vista sul futuro di Cuba con un esilio maturo che segua un obiettivo condiviso. La blogger è stata ricevuta con entusiasmo e ha conversato in maniera cordiale con figure importanti della diaspora cubana come Marcelino Miyares, veterano di Playa Giron e leader del Partido Demócrata Cristiano de Cuba. Ha salutato anche le rappresentanti delle Damas de Blanco negli Stati Uniti, Yolanda Huerga e María Elena Alpízar.

Jim Cason, sindaco di Coral Gables ed ex direttore della Sezione di Interessi degli Stati Uniti all’Avana, ha consegnato alla Sánchez le chiavi della città, come riconoscimento alla sua lotta pacifica per le libertà individuali e per i diritti umani.

Il discorso pronunciato da Yoani presso la Torre della Libertà, durante la cerimonia di consegna della medaglia per la sua opera in difesa della libertà di stampa e dei diritti umani, pare aver raggiunto l’effetto di unire tutti i cubani.

Yoani ha visitato la Oficina de Transmisiones a Cuba (OCB), che comprende Radio - TV Martí, nella zona nord est di Miami. La Sánchez è stata intervistata nel corso dei programmi Con voz propia e Las noticias como son.

Yoani ha affermato: “Radio - TV Martí è stigmatizzata e demonizzata dalla propaganda rivoluzionaria, perché si cerca di non fare arrivare i suoi programmi alla società civile”.

Yoani Sánchez ha visitato la galleria d’arte moderna De la Cruz Collection, nel Design District. Tra le altre cose, la galleria dispone di una sala con video e interviste alla fondatrice del blog Generación Y. Più tardi si è presentata all’Università di Miami per una conferenza con professori e studenti.

“Per me l’informazione è come una boccata d’aria fresca”, ha detto nel corso dei lavori. In questo contesto la Sánchez ha sottolineato l’importanza di aprire le porte allo scambio di idee e di garantire un libero flusso di informazioni.

“A Cuba tutta la stampa è sotto il controllo statale, inclusi i due periodici a diffusione nazionale. L’accesso a Internet e ai media elettronici sono riservati agli enti ufficiali e alle istituzioni culturali ed educative, sotto stretta sorveglianza. In ogni caso l’ingegno dei cubani ha permesso di superare le restrizioni governative e di aprirsi al mondo. Molti cubani che hanno accesso alla rete, stampano le pagine Internet che contengono le notizie più importanti, oppure le salvano su memory card per diffonderle nella società civile”, ha aggiunto.

Oggi, mercoledì 3 aprile, Yoani Sánchez risponderà alle domande del pubblico durante l’incontro TweetUp!, presso il centro delle arti Adrienne Arsht, moderato dalla giornalista Pamela Silvia Conde. Su Twitter si possono porre domande con i simboli: #AskYoani e #YoaniResponde o accedendo al sito www.AskYoani.com. L’incontro è organizzato da Univisión e il gruppo giovanile Raíces de Esperanza.


Gordiano Lupi