venerdì 9 marzo 2012

Con clitoride e con diritti

di Yoani Sanchez
da www.lastampa.it/generaciony



A volte con buone intenzioni - altre meno - qualcuno cerca di mettere a tacere le mie lamentele sul machismo nel mio paese dicendomi: “Le cubane non se la passano così male… stanno peggio le donne che vivono in alcune nazioni africane dove vengono sottomesse alla infibulazione”. L’argomento è un vero e proprio colpo basso, mi fa provare un dolore inguinale, mi collega al grido di un’adolescente indifesa, mutilata e consegnata a questo supplizio dalla sua stessa famiglia. Ma i diritti delle donne non devono ridursi soltanto a poter mantenere l’integrità fisica e a difendere la capacità biologica di provare piacere. Il clitoride non è la sola cosa che possiamo perdere, perché sono molte le possibilità sociali, economiche e politiche che ci vengono sottratte.
Siccome vivo in un paese dove i percorsi di protesta civica sono stati eliminati e demonizzati, in questo blog tento di realizzare un elenco di soprusi che a Cuba ancora colpiscono le donne:
- Non ci permettono di fondare nostre organizzazioni femminili, per associarci e sentirci rappresentate. Gruppi che non siano poli di trasmissione del governo verso i cittadini, come capita tristemente con la Federazione delle Donne Cubane.
- Quando si parla di donne nelle organizzazioni politiche, si percepisce chiaramente che non hanno un potere decisionale reale ma che sono state messe in certi posti solo per rispettare quote e assegnazioni legate al sesso.
- L’icona della FMC (Federazione delle Donne Cubane) - la sola organizzazione di questo tipo consentita dalla legge - esibisce una figura con un fucile in spalla, alludendo chiaramente alla madre come soldato, alla femmina come parte di un conflitto bellico deciso nelle stanze del potere.
- L’assenza nella stampa nazionale di notizie sulla violenza domestica non elimina la sua presenza reale. Passare sotto silenzio non serve a fermare il colpo dell’aggressore. Nelle pagine dei nostri periodici dovrebbero raccontare anche i maltrattamenti, altrimenti non capiremo mai che esiste un serio problema di aggressioni silenziose tra le pareti di tante case.
- Dove va una sposa quando viene picchiata dal marito? Perché non esistono posti dove ricevere aiuto e non vengono pubblicati sui mezzi di stampa gli indirizzi dei luoghi di sostegno per le donne maltrattate?
- In questa società è un lusso comprare pannolini usa e getta; quasi tutte le neo mamme devono impiegare buona parte del loro tempo nel lavare a mano la biancheria dei loro neonati. Ogni emancipazione necessita di un’infrastruttura materiale di libertà, altrimenti restano solo gli slogan e le parole d’ordine.
- L’alto prezzo di tutti quei prodotti che riguardano la maternità e la gravidanza è un altro elemento che influisce sulla bassa natalità. Un letto con materasso per un neonato costa l’equivalente di 90 dollari in un paese dove il salario medio non supera i 20 dollari.
- Il mantenimento che il padre deve passare ai figli dopo il divorzio - secondo quanto prevede la legge - in molti casi non supera l’equivalente di 3 dollari mensili, cosa che priva la donna di difese economiche per crescere i figli.
- Gli altissimi prezzi degli alimenti in rapporto al salario incatenano la donna cubana ai fornelli e la costringono a compiere piroette gastronomiche per mettere in tavola un pranzo. Sono le femmine - non il sistema politico-economico - a realizzare il miracolo quotidiano di far mangiare le famiglie cubane, in maniera più o meno decente.
- Dopo tanti slogan che parlano di emancipazione e di uguaglianza, noi donne cubane ci troviamo con un doppia giornata lavorativa e decine di fastidiosi compiti burocratici. Se usciamo per strada ci rendiamo conto degli effetti di questo surplus lavorativo: le donne che hanno più di quarant’anni sfoggiano quasi sempre espressioni amareggiate, non fanno piani per il futuro, non escono con le amiche per andare in un locale, non pianificano una fuga dalla famiglia e dalla noia.
- Quando una donna decide di criticare il governo subito le ricordano che porta la gonna, l’accusano di essere amorale, infedele al marito, manipolata da qualche mente maschile, le rivolgono epiteti come “prostituta”, “galletta”, “jinetera” (una sorta di escort per turisti, ndt) e altri insulti di taglio discriminatorio.
- Non è possibile tentare la liberazione di uno specifico gruppo sociale in una società paralizzata dalla mancanza di diritti. Essere donna nella Cuba di oggi, significa soffrire ancora di più certe mancanze.
In definitiva, vogliamo avere clitoride e diritti, provare piacere ed esprimere le nostre opinioni, associarci per le nostre gonne, ma specialmente per le nostre idee.

Traduzione di Gordiano Lupi

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