venerdì 28 ottobre 2011

I cubani cercano rifugio in una bottiglia di rum


“I cubani bevono molto, perché non hanno diritto alla felicità", scrive il giornalista indipendente Juan González Febles.

Cade un luogo comune diffuso in Europa. Capita spesso di non capire la differenza tra la Cuba turistica e la Cuba reale e quanto sia falsa l'idea di un'isola che sorride e balla, abitata da gente spensierata. Questa è l'immagine che il regime vuole diffondere, lontanissima dalla realtà, ma che spesso accettiamo senza starci tanto a pensare.

Il consumo eccessivo di alcol sta recando danni incalcolabili alla salute dei cubani, il fenomeno è un vero e proprio flagello che coinvolge ogni settore della popolazione, persino i minorenni. A Cuba si beve rum sin dai tempi dei pirati e dei bucanieri, ma ubriacarsi è sempre stata una pratica riservata agli strati sociali più bassi.

“I cubani bevono molto perché sull'isola non esiste il diritto alla felicità", scrive il giornalista indipendente Juan González Febles.

“La gente beve per colmare un vuoto esistenziale: bere rum è un modo come un altro per non pensare, un'abitudine che serve ad alleviare disagi e sofferenze", sostiene lo scrittore - blogger Orlando Luis Pardo Lazo.

"Un cubano spende l'80% delle sue risorse per mangiare, deve chiedere il permesso per poter vendere un'auto di sua proprietà, paga per ottenere una casa che dovrebbe appartenergli e che, dopo pagata, se abbandona il paese o muore, non può essere ereditata dai figli che devono pagarla di nuovo", aggiunge Febles.

“Si beve perché non si vedono vie d'uscita, non si possono coltivare speranze, non esiste il diritto di sognare e di cercare la felicità. Solo i matti e gli ubriachi sopportano bene una simile situazione ", precisa González Febles.

La soluzione al problema dell'alcolismo va ben oltre i consigli didascalici dati dalla regista di regime Lupe Alfonso, che nel documentario Havana Glue fa dire al pittore Eduardo Roca Salazar (Choco): "Per non cadere nel vizio dell'alcol dobbiamo ascoltare di più i genitori, i maestri e i grandi uomini della nazione". Fosse così facile...


Gordiano Lupi

giovedì 27 ottobre 2011

La libertà di opinione secondo Raul

Omar Santana su El Nuevo Herald
La gerontocrazia al potere è d'accordo con Raul. Secondo loro a Cuba c'è una vera democrazia, un dibattito ricco, pluralista e capace di ammette diversità di opinioni. Come dire che se la cantano e se la suonano.

mercoledì 26 ottobre 2011

Cercasi nuovi dirigenti statali

Cuba inaugura una nuova scuola superiore per colmare il vuoto di dirigenti per le imprese di Stato.
Jardim (El Nuevo Herald) stigmatizza i metodi di "selezione" usati da Fidel e da Raul.

Fidel, ci hanno revocato l'embargo!


Garrincha realizza una vignetta molto acuta sulla possibile revoca dell'embargo e sugli effetti destabilizzanti che potrebbe avere. Ma non sono gli effetti teorizzati dal castrismo e dai suoi sostenitori.
Traduzione

Raul - Fidel, accidenti! Ci hanno tolto l'embargo!

Fidel - Come?

Raul - E' una bugia, sciocco. E' il tran tran di sempre alle Nazioni Unite.

Infermiere in basso - Portami i Pampers al mentolo.


Gordiano Lupi

Le Damas de Blanco cambiano nome


Le Damas de Blanco hanno dato un nuovo nome alla loro associazione, che d'ora in poi si chiamerà Damas de Blanco "Laura Pollán", in memoria della leader del movimento, scomparsa venerdì 14 ottobre all'Avana.

Nel corso Tè letterario organizzato il 18 ottobre, le Damas de Blanco hanno deciso di denominare la loro organizzazione femminile: Movimiento Las Damas de Blanco Laura Pollán. Sono state concordi nel conservare disciplina, coraggio, dignità e pacifismo nella lotta per la liberazione dei prigionieri politici, per la difesa e per la promozione dei diritti umani. Le nuove rappresentanti dell'associazione all'estero saranno Blanca Reyes Castañón (Spagna - Europa) e Yolanda Huerga (Stati Uniti). Berta Soler Fernández sarà la nuova rappresentante sull'Isola, al posto della Pollán, volto indimenticabile della dissidenza.

Gordiano Lupi

martedì 25 ottobre 2011

Yoani Sanchez e l'embargo


Appena quattro anni fa, l’ex cancelliere Felipe Pérez Roque era il protagonista davanti alle Nazioni Unite delle giornate contro l’embargo nordamericano nei confronti di Cuba. La sua voce spiegava le privazioni commerciali, economiche e finanziarie che derivavano da un odioso provvedimento. L’esaltato funzionario esponeva le cose che conosciamo fin troppo bene: i molti danni che l’embargo - dal 1962 - provoca all’industria, allo sviluppo tecnologico e persino alla salute pubblica. Ma il nostro ex Ministro delle Relazioni Estere non ha mai speso una parola sui limiti interni che ci vengono imposti, su quel muro di censura e castigo che adesso ha travolto anche lui.

Il semplice fatto di scegliere la parola “embargo” invece di preferire la più terribile “blocco” evidenzia una posizione quasi ideologica. Il tema è stato manipolato parecchio dalla stampa nazionale; il governo non si rende conto che molti dissidenti si oppongono al sistema ma anche alle restrizioni commerciali praticate dagli Stati Uniti nei confronti dell’Isola. Il quotidiano Granma dà per scontato che chi chiede aperture politiche sia automaticamente favorevole al mantenimento dell’embargo. Per questo vediamo tante espressioni meravigliate quando sentono i motivi per cui vogliamo che l’embargo finisca prima possibile; quelle ragioni che Felipe Pérez Roque non ha mai detto all’ONU e che ha conosciuto soltanto quando è diventato un cancelliere defenestrato.

Un “blocco” imposto da oltre cinquant’anni ha permesso di spiegare ogni evento negativo e di giustificare i problemi come se fossero un suo effetto. Ma nonostante il “blocco”, nelle lussuose magioni della nomenclatura abbonda il whiskey, i congelatori sono pieni di generi alimentari e nei garage riposano auto moderne. Inoltre, la chiusura economica ha contribuito ad alimentare l’idea di una piazza assediata, nella quale dissentire equivale a tradire. In questo modo il blocco esterno ha rinforzato il blocco interno.

Desidero che la votazione di oggi alle Nazioni Unite decreti l’eliminazione di un provvedimento assurdo, perché la fine dell’embargo sarebbe il colpo definitivo per far cadere il governo autoritario sotto il quale viviamo. La delegazione ufficiale, da parte sua, interpreterà il voto in ben altro modo: applaudirà soddisfatta, dichiarerà che la decisione rappresenta “un’altra vittoria della Rivoluzione”. All’Avana, intanto, lontani dagli sguardi indiscreti, alcuni gerarchi festeggeranno sorseggiando Johnny Walker e prelibati aperitivi “Made in USA”.

Traduzione di Gordiano Lupi

Nota del traduttore: Il pezzo di Yoani Sánchez è stato scritto prima della rituale decisione delle Nazioni Unite, che ha condannato per il ventesimo anno consecutivo l’embargo USA contro Cuba. Esito finale: 186 voti favorevoli, 2 contrari (USA e Israele) e 3 astenuti.

La blogger, su Twitter, si pone una serie di domande.

“Quale embargo ci sottomette a una gerontocrazia incapace? È colpa del blocco se tanti giovani sognano soltanto di fuggire da Cuba? Quale embargo fa esprimere critiche a voce bassa? È forse il blocco che controlla i telefoni e che ci fa seguire da poliziotti della Sicurezza di Stato? Quale embargo ci obbliga a ripetere slogan politici sin da bambini? Forse il blocco fa indossare la maschera della doppia morale e impone di tacere? Quale embargo mette il bavaglio ai giornalisti ufficiali? Il blocco fa sì che gli opportunisti applaudano? E intimorisce 11 milioni di cubani? Quale embargo limita a duecento le professioni private? Il blocco impedisce la creazione di un mercato all’ingrosso e l’apertura del credito per i cittadini? Quale embargo riempie di ideologia l’educazione cubana? Ed è sempre il blocco a definire i diritti umani una perfida espressione? L’embargo alimenta gli atti di ripudio, gli eccessi della polizia politica e gli arresti arbitrari dei dissidenti? Quale embargo impone di subire il partito unico? Il blocco pretende la penalizzazione del pluralismo e vuole un’ideologia di Stato? Quale embargo impedisce a un cubano di fondare un partito, di aprire un giornale e di parlare senza il timore d’essere punito? Quale embargo impedisce di accedere ala TV via cavo che a Cuba è riservata agli stranieri residenti? Quale embargo mi impedisce di scrivere su Twitter via internet invece di farlo alla cieca a mezzo sms? Quale embargo fa sì che il governo di Cuba venga tramandato per via ereditaria invece di ricorrere alle urne? Quale embargo mi impedisce di uscire dal mio paese e di poter rientrare quando voglio? L’ONU deve sapere che noi cubani vogliamo votare anche contro l’embargo interno!”

Il sistema cubano che cambia

Omar Santana su El Nuevo Herald

- Martì l'aveva promesso e Fidel l'ha completato... ma allora perchè adesso stanno cambiando tutto?

Garrincha e le fughe da Cuba

Garrincha su El Nuevo Herald.

- Io me ne sono andato da Cuba per problemi economici.

lunedì 24 ottobre 2011

L'amante di Fidel Castro


Edoardo Manet
L’amante di Fidel Castro
Leone editore – Pag. 410 – Euro 18,50
www.leoneeditore.it

Edoardo Manet è nato a Santiago di Cuba nel 1930, ma è esule in Francia dal 1970, praticamente da quando a Cuba l’aria è diventata irrespirabile per gli intellettuali. Il caso Padilla fece capire a molti artisti che non avrebbero potuto essere liberi in una dittatura che non ammetteva alcun tipo di critica. Lo stalinismo sovietico s’impadroniva della rivoluzione cubana, gli scrittori venivano repressi o arruolati nelle fila rivoluzionarie e di conseguenza i migliori fuggivano. Edoardo Manet è diventato un autore importante in Francia come drammaturgo teatrale e sceneggiatore televisivo. Alla bella età di ottantuno anni si cimenta con la narrativa per comporre “il romanzo della rivoluzione cubana”, quel libro che tutti gli esuli cubani sognano di scrivere. Manet riesce in un’operazione complessa che non viene bene a molti, perché troppo coinvolti sentimentalmente e pervasi da eccessivo risentimento verso il castrismo. Edoardo Manet è un ottimo sceneggiatore, si nota dallo stile efficace e rapido, da una scrittura che ha il taglio del best-seller (in senso positivo), capace di catturare il lettore e di spingerlo a divorare in poco tempo una trama complessa e ricca di metafore. La protagonista è un’anziana signora che racconta in prima persona i segreti della sua vita, escamotage narrativo che consente a Manet di scrivere la storia di Cuba dal 1959 a oggi, senza inventare niente, ma solo inserendo un elemento di fiction romantica. La donna racconta di essere stata l’amante di Fidel Castro sulla Sierra Maestra, da ragazzina, quando era fuggita con i rivoluzionari per contribuire alla sconfitta di Batista. Non solo, aveva avuto un figlio da Fidel, abortito sulle scogliere del Malecón, e aveva continuato a vivere nel ricordo di un amore impossibile, anche dopo la fuga all’estero, un lavoro importante, un marito straniero e una vita radicalmente cambiata. Un giorno la donna torna a Cuba per motivi di lavoro, ritrova una vecchia amica con cui aveva condiviso passioni e illusioni, ma soprattutto rivede il Comandante, teme di poter cadere ancora nella sua rete ammaliatrice, ma si rende conto che ormai tutto è finito e che Fidel non rappresenta più niente per lei.

Edoardo Manet non calca la mano, rilegge la storia della rivoluzione cubana, separa errori da conquiste, non si fa muovere da livore contro una dittatura, ma riesce a trasmettere al lettore l’ardore di un popolo convinto di poter cambiare il mondo, ma anche la delusione successiva, il senso di disfatta e di rassegnazione. La donna amante di Fidel è una metafora del popolo cubano, per lunghi anni innamorato del suo condottiero, che si rende conto di essere stato tradito da un uomo affascinante in cui aveva riposto grande fiducia.

Edoardo Manet riesce a comporre un credibile affresco della vita cubana, grazie a dialoghi e ricordi fa rivivere sogni, speranze di cambiamento e l’illusione di poter costruire un uomo nuovo. Una simile operazione - a metà strada tra nostalgia e critica spassionata - era riuscita soltanto ad Andy Garcia e Guillermo Cabrera Infante nello splendido The Lost City, pellicola quasi invisibile sui nostri schermi. Edoardo Manet con una scrittura semplice e accattivante fa rivivere anni lontani, demolisce utopie impossibili e fa capire che siamo arrivati al crepuscolo dell’era castrista. È tempo di voltare pagina.

Gordiano Lupi

venerdì 21 ottobre 2011

Momenti terminali

di Yoani Sanchez


Ceausescu voleva scappare con il suo elicottero, Saddam Hussein si nascondeva in una buca, il tunisino Ben Alì era andato in esilio, Gheddafi era fuggito con una carovana e alla fine si è nascosto in un tubo di scarico. Gli autocrati scappano, se ne vanno, non si immolano nei palazzi dai quali dettavano leggi arbitrarie; non muoiono seduti nei seggi presidenziali con la fascia di tela rossa che scende sul petto. Hanno sempre una porta nascosta, un passaggio segreto da imboccare per svignarsela quando si sentono in pericolo. Hanno impiegato decenni per costruire un bunker segreto, un “punto zero” blindato o un rifugio sotterraneo, perché temono che lo stesso popolo che li applaude nelle piazze possa ribellarsi, non appena finirà la paura. Negli incubi dei dittatori, i demoni sono gli stessi sudditi, gli abissi prendono forma di turbe che vogliono abbattere statue e sputare sulle loro foto. Questi dispotici signori hanno il sonno leggero perché devono fare attenzione alle grida e ai colpi contro la porta… spesso vivono in anticipo la loro stessa morte.

Mi sarebbe piaciuto vedere Muammar Gheddafi davanti a un tribunale, messo in stato d’accusa per i crimini commessi contro il suo paese. Credo che la morte violenta conceda ai dittatori un’aureola di martirio che non meritano. Devono restare vivi per ascoltare la testimonianza pubblica delle vittime, vedere i loro paesi andare avanti senza l’intralcio che rappresentavano e rendersi conto di quanto siano volubili gli opportunisti che un tempo li avevano sostenuti. Devono sopravvivere per essere presenti quando verrà riscritta la storia che avevano falsificato, per rendersi conto come le nuove generazioni cominceranno a dimenticarli e per subire accuse, scherno e critiche feroci. Linciare un despota significa salvarlo, concedere un’uscita di scena quasi gloriosa che evita il castigo eterno di essere giudicato di fronte alla legge.

Continuare il ciclo dell’esasperazione che questi tiranni hanno seminato nelle loro nazioni è estremamente pericoloso. Ucciderli perché hanno ucciso, aggredirli perché ci hanno aggredito, manda avanti una spirale di violenza e ci rende simili a loro. Adesso che le immagini di un Gheddafi insanguinato e balbettante fanno il giro del mondo, non esiste un solo dittatore che non si veda riflesso con terrore nello specchio di quei momenti terminali. In questi giorni, gli ordini di rinforzare tunnel segreti e di studiare nuovi piani di fuga circolano senza sosta all’interno di molti palazzi presidenziali. Facciamo attenzione, perché i dittatori hanno molte vie di fuga e tra queste c’è la morte. Meglio che sopravvivano. Restando in vita si renderanno conto che né la storia né i loro popoli li assolveranno mai.

Traduzione di Gordiano Lupi

In anteprima nazionale. Domani sarà su www.lastampa.it/generaciony.
A Yoani è stato negato il permesso di viaggiare ancora una volta. Non potrà ritirare il premio a Madrid!

giovedì 20 ottobre 2011

Dubbi sulla morte di Laura Pollán

Alcuni dissidenti parlano di delitto di Stato


Si fanno insistenti i dubbi sulle cause della morte di Laura Pollán. Il virus respiratorio che avrebbe prodotto il decesso sarebbe letale soltanto in pochissimi casi (il sito Medscape parla di 1% di mortalità) e sembrerebbe un’infezione tipica dei bambini.

Molti dissidenti si chiedono il motivo per cui nessun familiare è stato ammesso nella sala dove veniva praticata la terapia intensiva e perchè dopo la morte si è cercato di non far sapere a bordo di quale ambulanza sarebbe stato trasferito il corpo della Dama de Blanco in obitorio. Il marito Hector Maseda e la figlia Laurita non si sono potuti avvicinare al cadavere, se non molto tempo dopo il decesso. C’era forse qualcosa da nascondere? Il governo cubano si difende, parla di “calunnie dell’Impero”, nega che i medici della clinica di Stato abbiano inoculato nel corpo di Laura Pollán sostanze mortali. Molti oppositori, al contrario, ritengono che il regime abbia eliminato una pericolosa nemica, approfittando delle condizioni di salute compromesse, favorendone il decesso. Di fatto Laura Pollán era diventata il nemico numero uno del governo.

Alcuni dissidenti, membri dell’Alleanza Democratica Cubana, ritengono fondati i sospetti di “delitto di Stato” nei confronti di Laura Pollán. Per questo motivo hanno affermato che non vogliono essere curati da nessun ospedale statale, né subire operazioni chirurgiche, senza l’approvazione preventiva di un medico di fiducia. Secondo i dissidenti, alcuni agenti governativi avrebbero fatto pressione perché il corpo di Laura Pollán venisse cremato più in fretta possibile. Gli oppositori che hanno firmato questa grave denuncia contro il regime cubano sono: Elizardo Sánchez Santa Cruz, José Daniel Ferrer García, Héctor Palacios, Guillermo Fariñas, René Gómez Manzano, Iván Hernández e Gisela Delgado.

La figlia di Laura non condivide le accuse. “Non sono medico, ma per quello che ho visto mi pare che mia madre abbia ricevuto ogni attenzione possibile. Ho pensato: faranno l’impossibile, proprio per evitare che vengano fatte certe congetture”, ha detto.

La morte di Laura Pollán resta avvolta nel dubbio, le illazioni continueranno, i sospetti non verranno dissipati. Una dittatura resta tale in ogni situazione e impedisce di fare piena luce sugli eventi.

Gordiano Lupi

mercoledì 19 ottobre 2011

Castro e Chávez conversano sul futuro del mondo

Come Garrincha vede la morte di Laura Pollan

L'Avana, 19 ottobre 2011

Fidel Castro ha detto che questa settimana ha parlato a lungo con il suo amico e discepolo Hugo Chávez, sul tema: "un mondo migliore e più giusto", mentre il Presidente venezuelano si stava sottomettendo ad alcuni controlli medici in terra cubana.

“Ho parlato molto con lui. Ho cercato di spiegargli la passione che mi anima nel dedicare le mie ultime energie al sogno di un mondo migliore e più giusto", ha scritto oggi Fidel Castro su Granma, in una delle sue famose Riflessioni.

Fidel Castro ha 85 anni e ha ceduto il potere al fratello Raul da 5 anni, per un grave problema di salute. Adesso dedica il suo tempo a scrivere e a studiare, ritagliandosi un ruolo da vecchio saggio e da padre della patria. I suoi interessi principali sono la critica alla globalizzazione e la storia della sua rivoluzione, che vuole tramandare nel modo migliore possibile. Chávez si è operato il 20 giugno all'Avana per un tumore maligno e si è sottoposto a quattro cicli di chemioterapia. Adesso sta facendo ulteriori controlli nella capitale cubana.

“Sono in grande sintonia con il leader boliviano ed è con lui che condivido i miei sogni, soprattutto adesso che l'impero mostra i segni evidenti di una malattia terminale", ha scritto Castro riferendosi agli Stati Uniti e ai suoi alleati.

Il vecchio leader ha aggiunto: "Salvare l'umanità da un disastro irreversibile è la nostra missione. Non possiamo affidare il mondo alla stupidità di qualche mediocre presidente, come alcuni che negli ultimi anni hanno guidato l'Impero. Paesi emergenti, come Cina e Russia, sempre più protagonisti della scena internazionale, potranno raggiungere l'importante obiettivo di lottare per un mondo migliore, insieme ai paesi sottosviluppati".

Secondo Fidel Castro, il Venezuela possiede uno straordinario sviluppo educativo, culturale e sociale, oltre a immense risorse energetiche e naturali. Per questo, a suo parere, diventerà un modello rivoluzionario per il mondo intero.

"La Rivoluzione Bolivariana in breve tempo può creare posti di lavoro non solo per i venezuelani, ma anche per i fratelli colombiani, un popolo laborioso e coraggioso, ma che vive in condizioni di estrema povertà", ha concluso Fidel Castro.

Gordiano Lupi

Nuovo premio per Yoani Sánchez

Ma il governo cubano non la farà uscire


La blogger Yoani Sánchez ha detto: "Mi piacerebbe molto andare a Madrid a novembre per ricevere un premio, ma come sempre ho scarse le possibilità di ottenere la famigerata carta bianca".

Yoani ha scritto sul blog Generación Y che sta facendo le pratiche burocratiche per richiedere il permesso di uscita, perchè ci terrebbe a partecipare alla consegna dei premi organizzata dall'associazione Hazte Oír. Ma sa bene che è difficile, se non impossibile, che venga autorizzato il viaggio a Madrid, visto che negli ultimi 4 anni il governo cubano ha rifiutato ogni sua richiesta di ottenere la "carta bianca".

Hazte Oír consegnerà i premi il 5 novembre, a Madrid. Verranno valorizzate iniziative e persone che favoriscono il diritto alla vita, promuovono la famiglia, la libertà di educazione e i diritti umani. Tra i premiati: María San Gil, ex presidente del Partito Popolare dei Paesi Baschi; Bieito Rubido, direttore della rivista ABC; Yoani Sánchez, blogger cubana; Carlos Salvador, deputato UPN al Congresso di Spagna; e - a titolo postumo - Shazbaz Bhatti, ministro del Pakistan assassinato dagli islamici perchè di fede cristiana.

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

lunedì 17 ottobre 2011

Le Damas de Blanco sfilano lungo la 5ª Avenida

Un gruppo di dissidenti ha accompagnato le Damas de Blanco nel breve corteo dedicato alla memoria di Laura Pollán


Le Damas de Blanco, circa 60 donne, hanno preso parte alla messa domenicale nella Chiesa di Santa Rita, a Miramar, elegante quartiere avanero, dove si sono raccolte in preghiera per ricordare la scomparsa leader del gruppo, Laura Pollán Toledo.
Poco dopo, le Damas de Blanco e circa 40 dissidenti, tra loro l'ex prigioniero politico del Gruppo dei 75, Héctor Maseda, marito della Pollán, hanno sfilato lungo la 5ª Avenida di Miramar. La marcia è stata dedicata alla memoria di Laura Pollán, ma come sempre lo scopo è stato quello di esigere il rispetto dei diritti umani e la liberazione dei prigionieri politici cubani. La polizia politica ha creato i soliti problemi, distruggendo omaggi floreali preparati per la sfilata e arrestando alcuni dissidenti per impedire che partecipassero alla marcia.

Berta Soler, una delle fondatrici delle Damas de Blanco e candidata al ruolo di nuova leader, ha dichiarato a Radio Martí: "Le persone comuni ci hanno porto le loro condoglianze, si sono avvicinate e hanno manifestato grande solidarietà”.

Parte delle ceneri di Laura Pollán sono state depositate domenica nel panteon familiare a Manzanillo, ha detto Laura María Labrada, figlia della leader scomparsa.

Molti dissidenti cubani hanno espresso dolore per la morte di Laura Pollán, elogiando la sua lotta pacifica per la libertà a Cuba. Oswaldo Payá Sardiñas ha detto: "Laura ha sfidato la paura di molti e ha dato un segnale di liberazione in un ambiente come quello cubano, dove il terrore paralizza la maggioranza delle persone". Oscar Elías Biscet, ex prigioniero politico del Gruppo dei 75, ha indicato Laura come esempio del metodo di lotta non violenta da seguire contro le dittature. L'attivista Manuel Cuesta Morúa, della formazione politica Arco Progressista, ha sottolineato il suo impegno per i diritti umani: "E' molto triste che Laura Pollán non sia riuscita a vedere quella libertà per la quale ha lottato così a lungo, ma in futuro sarà sempre ricordata", ha concluso.

Molto toccanti i ricordi scritti da Orlando Luis Pardo Lazo (Diario De Cuba) e Yoani Sanchez (da noi tradotto in altra sede).


Gordiano Lupi

domenica 16 ottobre 2011

Laura, grande Laura

di Yoani Sánchez



Otto anni fa Laura Pollán era una semplice maestra di scuola e viveva insieme al marito Héctor Maseda, che dirigeva fuori dalla legalità il Partito Liberale Cubano. La famiglia cercava di vivere in modo normale nella piccola casa di calle Neptuno, anche se non era facile andare avanti in un paese che considera un crimine la libera associazione. Ma una mattina, alcuni colpi alla porta vennero ad annunciare un cambiamento irrimediabile della loro vita. Dopo un’accurata perquisizione, Maseda fu incarcerato e condannato a 20 anni di galera con l’accusa di aver attentato alla sicurezza nazionale. Il suo delitto: sognare una Cuba diversa, opporsi politicamente alle autorità e mettere per scritto le sue opinioni. Ben settantacinque oppositori vennero processati in quel triste marzo del 2003, rimasto per sempre nella nostra storia nazionale con il nome di Primavera Nera. La logica machista avrebbe voluto che le donne dei dissidenti arrestati restassero in casa a piangere il loro dolore, mentre i mariti scontavano lunghe pene in prigioni molto lontane dalle province di origine. Il governo cubano contava che quel colpo assestato all’opposizione avrebbe persuaso altri inquieti cittadini a non unirsi alle fila dei contestatari. Credeva anche che quelle spose, madri e figlie non avrebbero protestato, nella speranza che il silenzio potesse aiutare di più i loro cari rispetto alla pubblica denuncia di un orrore. Ma spesso i calcoli politici che provengono dalle alte sfere del potere sono errati.


In questo modo sono nate le Damas de Blanco, un gruppo di donne che lottando pacificamente chiedeva la liberazione di tutti i prigionieri di coscienza. Al principio sembrava un movimento modesto e privo di collegamento, vista la grande distanza che separava una donna dall’altra. Ma l’indignazione ha fatto da collante ed è stata un elemento di crescita per un movimento di donne che vestivano di bianco e tenevano in mano gladioli. Tra loro spiccava la voce di una piccola donna dagli occhi chiari che insegnava spagnolo e letteratura in una classe di adolescenti. Laura Pollán è diventata leader e portavoce di un gruppo non politico, concentrato soprattutto sul tema dei diritti umani e della scarcerazione dei familiari. In un paese retto da un’ideologia monocorde, l’ingresso sulla scena delle Damas de Blanco ha rappresentato un’importante novità. Non esibivano statuti di partiti politici, ma mostravano il desiderio di tornare ad abbracciare i loro cari. Hanno scelto di non unirsi a difesa di un’ideologia ma intorno alla fondamentale posizione dell’affetto familiare. Hanno suscitato molte simpatie tra la popolazione dell’Isola e - come accade in casi simili - tutto questo ha generato una campagna di diffamazione e insulti orchestrata dalle autorità.


Le Damas de Blanco sono state il gruppo dissidente più denigrato dai mezzi informativi cubani. Contro di loro è stata portata avanti ogni possibile guerra mediatica, dai tentativi di intimidazione ai meeting di ripudio che hanno raggiunto il culmine davanti alla porta della casa di Laura Pollán. I reporter ufficiali le chiamavano “Le Dame Verdi”, alludendo agli aiuti economici che ricevevano dai cubani esiliati per portare da mangiare ai mariti in prigione. Per ironia della sorte, un governo che ha usato le casse nazionali a sostegno dei più assurdi deliri politici, si permetteva di criticare gli aiuti ricevuti da alcune donne bisognose. La stampa nazionale ha continuato a denigrare la leader di quel movimento pacifico persino quando è entrata in terapia intensiva. Laura Pollán è stata ricoverata in uno di quegli ospedali avaneri dove la capacità medica è molto alta ma scarseggiano le luci, in gravissime condizioni, con forti dolori articolari, mancanza d’aria e deperimento organico. Visto che la situazione era molto grave, è stato chiesto alla famiglia se la paziente poteva essere trasferita in una clinica di lusso destinata ai militari. Laura prima di essere sedata e perdere conoscenza aveva già detto: “Voglio andare nell’ospedale del popolo”. Ed è proprio lì che è morta, dopo che le è stato diagnosticato il dengue con cinque giorni di ritardo, in un paese che da mesi vive un’intensa epidemia di quel virus.

Anche se in questo momento tutti i giornali del mondo stanno pubblicando la notizia della morte di Laura Pollán, il Granma e gli altri imbarazzanti giornali nazionali mantengono il silenzio. Una simile muta reazione può significare la pochezza di un governo incapace di provare dolore di fronte alla morte di un avversario. Non se la sono sentita di fermare le ostilità neppure per esprimere parole di condoglianza e per dire “mi dispiace”. Ma questo silenzio deriva anche dalla paura che avevano di questa piccola insegnante di spagnolo, un timore che è ancora dipinto sui loro volti. La leader delle Damas de Blanco è morta. Da ora in poi nessuno potrà tenere un gladiolo in mano senza pensare a Laura Pollán.

Traduzione di Gordiano Lupi

L'omaggio di Yoani a Laura Pollan

Yoani Sanchez su La Stampa di oggi

venerdì 14 ottobre 2011

Muore Laura Pollán



L’Avana, 15 ottobre 2011

La leader delle Damas de Blanco, Laura Pollán Toledo, è morta ieri alle 19 e 50, all’Avana, per un arresto cardiaco, come riferiscono fonti della dissidenza interna e blogger indipendenti. Aveva 63 anni.
Laura Pollán era ricoverata dallo scorso 7 ottobre, in terapia intensiva, all’Ospedale Calixto García per una grave insufficienza respiratoria, aggravata da problemi di diabete e ipertensione dei quali soffriva.
Martedì l’ospedale aveva informato la famiglia che esami realizzati dall’Istituto di Medicina Tropicale Pedro Kourí avevano rivelato che Laura Pollán soffriva del Virus Respiratorio Sincitial (VRS). Giovedì i medici avevano aggiunto che la leader delle Damas de Blanco soffriva anche di dengue tipo 4. Per tutta la settimana le condizioni di salute di Laura Pollán sono state definite “molto gravi”. I medici l’hanno mantenuta sempre sotto sedativi e con la respirazione artificiale. Venerdì le hanno praticato una tracheotomia.
Pollán era moglie del’ex prigioniero politico Héctor Maseda, uno dei 75 dissidenti condannati nella Primavera Nera del 2003. Dopo quella ondata repressiva, lei e altre donne familiari di oppositori incarcerati fondarono le Damas de Blanco, che negli ultimi otto anni si sono dedicate a denunciare la situazione dei prigionieri politici e a pretendere la loro liberazione. Nel 2005 il Parlamento Europeo le ha insignite del Premio Sacharov per la libertà di coscienza.
Il governo cubano, invece, ritiene le Damas de Blanco uno strumento fondamentale della sovversione statunitense sull’Isola. Pollán, insieme alle colleghe che fanno parte del gruppo, ha subito numerosi atti di ripudio organizzati dal regime, minacce, persecuzioni e percosse. L’ultimo episodio violento che l’ha vista protagonista è avvenuto lo scorso 24 settembre, davanti alla porta della sua casa, quando insieme ad altre Damas de Blanco cercò di assistere alla messa per il giorno della Merced e decine di paramilitari glielo impedirono.
Yoani Sánchez ha comunicato su Twitter che la veglia funebre si terrà nella casa di Laura Pollán e subito dopo il suo corpo sarà cremato.

Gordiano Lupi

Piombino Oggi parla (bene) del mio FIDEL CASTRO


Federico Paradisi - Piombino Oggi - ottobre 2012

Fina García Marruz vince il Garcia Lorca a Granada


La poetessa cubana Fina García Marruz ha vinto l'ottava edizione del Premio Internazionale di Poesía Città di Granada intestato a Federico García Lorca.

"Sono molto contenta di aver ricevuto questo premio. Lo considero importante ed è un omaggio alla stupenda lingua spagnola", ha detto la scrittrice, 88 anni, dopo aver conosciuto il responso della giuria.

Il premio è molto ambito tra i poeti ispanici, anche per il valore economico pari a 69.000 dollari. Fina García Marruz ha già vinto quest'anno il Premio Regina Sofía di Poesia Ispanoamericana.

Leggiamo una sua lirica d'amore.

La razón erótica


El y yo siempre tuvimos obsesiones en común
desde control remoto.
- Yo pasé el tormento de un amor;
Él, de un amor, recibió los mares húmedos.
-Yo me trago la semilla
y él saborea el fruto
(yo lo observo).
-Yo puse los ingredientes,
tapé la olla con fuerza
y él explotó a presión.
–Yo diseño y él viste.
Entre yo, la razón, y él, la pasión,
sólo hay un hijo.

La ragione erotica

Io e lui abbiamo sempre avuto ossessioni in comune
comandate a distanza.
- Io ho passato il tormento di un amore;
Lui, di un amore, ha ricevuto intensi effluvi.
- Io inghiotto il seme
e lui assapora il frutto
(mentre io osservo).
- Io metto gli ingredienti,
tappo la pentola con forza
e lui esplode per la pressione.
- Io progetto e lui indossa.
Tra me, la ragione, e lui, la passione,
c’è soltanto un figlio.

Traduzione di Gordiano Lupi

Eliécer Ávila, un ingegnere condannato alla disoccupazione


Ricordate il giovane studente che tre anni fa ridicolizzò il Presidente del Parlamento cubano, Ricardo Alarcón? Oggi vende gelati a Las Tunas.

Eliécer Ávila, lo studente di Scienze Informatiche che 3 anni fa rivolse alcune domande argute e polemiche al Presidente del Parlamento cubano, Ricardo Alarcón, nell'aula magna dell'università, oggi lavora come cuentapropista, dopo essere stato a lungo disoccupato.

"Sono un uomo frustrato, è vero, ma la cosa peggiore è che vedo Cuba perseverare in un progetto condannato al fallimento", dice Ávila, che - nonostante una laurea conseguita con il massimo dei voti - vende gelati a Las Tunas. La polizia politica sorveglia il ragazzo giorno e notte, per verificare che non si occupi di politica e che non compia passi falsi che potrebbero costargli la privazione della libertà personale.

Ávila deve guadagnarsi la vita con una modesta attività economica, non può lavorare per lo Stato e la sua laurea in ingegneria informatica non serve a trovare un impiego confacente ai suoi studi. Ha osato criticare il sistema comunista, affermando che il Re è nudo; questa è la punizione che si è meritato per aver fatto domande su temi economici al Presidente del Parlamento cubano. Eliécer Ávila si era limitato a chiedere cose che sono sulla bocca di tutti i cubani: Perchè non si può viaggiare? Perchè esiste un doppio sistema monetario? Perchè non viene lasciata libertà economica e civile ai cubani? La risposta del regime è stata l'esilio a Las Tunas, confinato a vendere gelati per aver parlato troppo e aver creduto che Cuba fosse davvero un paese libero.

Gordiano Lupi

giovedì 13 ottobre 2011

Questione di appartenenza

di Yoani Sanchez


La strada incriminata

Una donna, proprietaria di una caffetteria recentemente inaugurata, risponde alle domande incalzanti di una giornalista in merito all’uso dello spazio pubblico. Durante la notte, le sue dichiarazioni e quelle di molte altre persone andranno a comporre un ampio reportage televisivo sul tema dell’invasione delle aree comuni da parte dei nuovi negozi privati. L’argomento sta provocando molte polemiche. Da un lato, ci sono persone che hanno impiegato risorse personali per costruire un banco o per allargarsi con lo scopo di avere più clienti, ma al tempo stesso si vedono colpite da un ordine di demolizione per occupazione abusiva di spazi pubblici. Dall’altro, ci sono le esigenze dei passanti che perdono lo spazio riservato a porticati e strade per colpa di nuove costruzioni che avanzano dall’interno delle case. Ma è evidente che non tutti vengono puniti con la stessa severità per questa intromissione urbanistica. Lo Stato sembra avere letteralmente via libera per invadere luoghi, obbligare pedoni a camminare per strada e costruire le cose più orribili senza dover rendere conto agli abitanti del posto.

Nel quartiere dove vivo, per esempio, hanno edificato a tempo di record un hotel che occupa un intero isolato. In un primo tempo, era stato pensato per ospitare i pazienti della cosiddetta Operazione Miracolo, ma da quasi un anno ha dovuto adeguarsi alla legge della domanda e dell’offerta, aprendo le porte al pubblico. Questa struttura si è portata via - senza il consenso di nessun vicino - parte del marciapiede della calle Hidalgo. Il vecchio margine dedicato ai passanti perchè fossero al sicuro dalle auto in transito, adesso è riservato ai camion in servizio presso l’enorme edificio, una brutta rampa dove non si vedono mai scaricare merci da alcun veicolo.

In questo caso il danno sembra irreversibile, perchè a differenza delle improvvisate costruzioni individuali, qui stiamo parlando di una struttura in cemento armato che nessuno può toccare. Le persone comuni, i passanti che uscivano dal mercato e imboccavano quel sentiero un tempo alberato, pensano che non serva a niente lamentarsi. “È proprietà dello Stato e sappiamo come vanno le cose…” mi rispondono quando cerco di trovare persone disposte a protestare. La cosa più triste è che hanno ragione. Neppure l’intraprendente giornalista che critica l’espansionismo di certi negozi privati durante il notiziario televisivo più seguito, realizzerà un reportage su questa parte di città che ci hanno portato via.

Traduzione di Gordiano Lupi

Il socialismo: se lo conosci lo eviti!


di Garrincha, grande vignettista cubano.

Proteste in Europa.
- Il capitalismo è uno schifo!
- Vogliamo il socialismo!
Cubano: - Scusate, avrei qualcosa da dire...

mercoledì 12 ottobre 2011

Cuba tra arresti, dissidenti e guerre mediatiche


ARRESTATO GRAFFITARO CUBANO


L'artista cubano noto come El Sexto è stato arrestato lunedì scorso all'Avana, secondo una denuncia dei blogger Orlando Luis Pardo Lazo e Yoani Sanchez. Il vero nome de El Sexto è Danilo Maldonado Machado ed è un artista di strada, specializzato in graffiti nei luoghi pubblici della capitale. La blogger Yoani Sánchez ha scritto su Twitter che alcuni agenti della Sicurezza di Stato l'hanno sequestrato a bordo di un'auto Lada di colore bianco e che non è dato sapere dove lo tengano recluso. Il blogger Orlando Luis Pardo Lazo, che ha fotografato la sua opera, ha comunicato a Radio Martí l'arresto di El Sexto e ha precisato che è avvenuto nel quartiere Arroyo Arenas. Antonio Rodiles, direttore del progetto culturale alternativo Estado de SATS, ha confermato l'arresto durante una conversazione a Radio Martí. Un paio di settimane fa il giovane artista era stato intervistato da un inviato di Radio Martí e aveva detto che a Cuba stava cadendo il muro della censura e che avrebbe continuato a produrre la sua arte contestataria, perchè le idee sono più forti delle armi.

LAURA POLLAN STA MEGLIO



Laura Pollan, leader del movimento dissidente Damas de Blanco, mostra lievissimi segnali di miglioramento. E' stato individuato il virus che ha provocato la crisi respiratoria e la conseguente infezione polmonare. "Questa è la migliore notizia" ha detto il il marito, l'ex prigioniero politico Hector Maseda. "Adesso sarà più facile capire la terapia da praticare".

Vignetta di Jardim da El Nuevo Herald


"Ciberguerra"

Annunciatore: "Si avvicinano dal Nord copiose piogge di SMS".

Jardim stigmatizza con una tavola ironica l'annuncio dato da Prensa Latina in merito a una ciberguerra tra USA e CUBA, a base di notizie diffuse per destabilizzare la situazione politica dell'isola . Questa è la versione cubana, mentre la tesi nordamericana, accettata dai blogger e dalla dissidenza, insiste sul fatto che - grazie alla nuova tecnologia - sarà possibile avere notizie su quanto accade nel mondo, soprattutto su ciò che i mezzi di informazione cubani passano sotto silenzio. Si tratta di una crepa importante per il muro della censura - già messo a dura prova dai blogger e dai giornalisti indipendenti - ma non si può certo definire ciberguerra una semplice diffusione di notizie, consentita in ogni paese civile e democratico.

Gordiano Lupi

sabato 8 ottobre 2011

Laura Pollán ricoverata in ospedale


Le sue condizioni sono gravi

La Dama de Blanco è stata ricoverata venerdì nell’ospedale Calixto García dell’Avana per un’infezione virale ai polmoni

La leader delle Damas de Blanco, Laura Pollán, 63 anni, è ricoverata in gravi condizioni di salute nel reparto terapia intensiva dell’ospedale Calixto García dell’Avana. Il marito Héctor Maseda, ex prigioniero politico, ha detto che la moglie è stata trasportata venerdì al centro medico dopo aver presentato un’infezione virale ai polmoni.

La Dama de Blanco Berta Soler, ha dichiarato a Radio Martí: “Laura Pollán è entrata in ospedale in gravissime condizioni. I medici hanno dovuto intubarla per farla respirare. Si pensa a un problema batterico. I medici la stanno sottoponendo a un trattamento a base di antibiotici che per il momento non ha dato esiti positivi”.

Laura Pollán è una delle fondatrici del gruppo dissidente Damas de Blanco, nato per chiedere la liberazione dei prigionieri politici cubani e caratterizzato da una marcata presa di posizione in favore del rispetto dei diritti umani. Il governo cubano accusa le Damas de Blanco di essere “la punta di diamante di una finta opposizione finanziata dagli Stati Uniti”. Lo scorso 24 settembre Laura Pollán è stata percossa dalla polizia castrista davanti al portone di casa sua, sede del movimento Damas de Blanco, per impedirle di partecipare a una funzione religiosa e alla marcia domenicale durante le quale le donne cubane vestono di bianco e impugnano un gladiolo.

Il mondo dei blogger alternativi e dell’opposizione cubana è in apprensione per la salute di Laura Pollán. Intanto giunge la buona notizia che sono stati liberati Sara Marta Fonseca e Julio León Pérez.


Gordiano Lupi

venerdì 7 ottobre 2011

Yoani Sánchez riceve il Premio Brunet per i Diritti Umani


La giornalista indipendente cubana Yoani Sánchez è stata insignita del premio “Jaime Brunet 2010 per la Promozione dei Diritti Umani”, assegnato dall’Università Pubblica di Navarra (UPN), ma non ha potuto partecipare alla cerimonia perché il governo le vieta di uscire dal Paese. Alla consegna dei premi erano presenti alcuni giornalisti spagnoli che hanno raccontato diversi aspetti della loro vita professionale. Il momento clou della serata è stato la consegna del premio alla blogger cubana che è servito a denunciare la situazione negativa dei diritti umani sull’isola caraibica.

Yoani Sánchez pubblica il famoso blog “Generación Y”, è considerata dalla rivista TIME una delle 100 persone più influenti al mondo ed è stata insignita del Premio Ortega y Gasset di Giornalismo. L’editore spagnolo Eugenio Tuya ha ritirato il premio e ha letto un messaggio della blogger, datato 5 ottobre, con cui ringrazia la giuria per il riconoscimento assegnato.

Yoani Sánchez afferma: “Questo premio in passato è stato assegnato a illustri figure del giornalismo, mentre adesso tocca a me, umile cittadina, che lotto per fare giornalismo e raccontare la vita quotidiana”. La giornalista cubana assicura: “Non è tanto un premio per le cose fatte, quanto uno stimolo per continuare a percorrere un sentiero difficile, ma improcrastinabile, per cercare di raggiungere tutti i cubani”. La nota blogger scrive che “ai non conformi sono negati gli spazi nei mezzi di comunicazione nazionale”, mentre “la tecnologia è diventata un’infrastruttura della libertà”. Yoani aggiunge che “la situazione dei diritti umani a Cuba non può che migliorare, perché in questo momento ha toccato il fondo”. Il suo discorso diventa intenso nelle frasi conclusive: “Pensavo che il 2011 avrebbe portato una Cuba pluralista e aperta al dibattito democratico, ma la realtà ha distrutto le mie illusioni, perché i diritti civili si trovano in condizioni peggiori rispetto al passato. A Cuba, soltanto pronunciare la frase diritti umani, provoca repressione, paura e problemi. Per questo motivo ho impiegato 30 anni prima di far sentire la mia voce, messa a tacere dalle troppe parole d’ordine e dai solerti censori. Finalmente ad aprile 2007 ho aperto un blog, un’avventura personale lungo il pericoloso torrente della libera espressione, che quattro anni dopo ha smesso di essere uno spazio individuale per diventare un collettore di denunce che altri compatrioti non hanno l’opportunità di far venire alla luce”.


Gordiano Lupi

giovedì 6 ottobre 2011

Presto libero uno dei 5 agenti cubani


Il governo cubano li chiama “i cinque eroi prigionieri dell’Impero”, gli statunitensi si limitano a definirli agenti segreti colpevoli di spionaggio internazionale. In ogni caso qualcosa si sta muovendo tra Cuba e USA, perché sembra che questa annosa questione stia per trovare una soluzione. René González sarà il primo dei cinque agenti cubani arrestati nel 1998 a uscire di prigione, ma non potrà rientrare a Cuba, perché dovrà scontare tre anni in condizione di libertà vigilata. Questa ulteriore manovra cautelare ha indignato il governo cubano, che pretende la liberazione incondizionata dei cinque agenti, dopo tredici anni di prigionia. González potrà scontare i tre anni di pena supplementare in qualsiasi località degli Stati Uniti. I suoi compagni di sventura - Gerardo Hernández, Ramón Labañino, Antonio Guerrero e Fernando González - sono stati condannati a pene detentive molto più lunghe e per il momento resteranno reclusi. Di solito i condannati stranieri vengono estradati nel paese di origine, al termine della pena detentiva, ma René González è nato a Chicago e possiede la doppia cittadinanza, cubano - americana, quindi dovrà restare negli Stati Uniti.

Fidel Castro, in una Riflessione pubblicata su Granma il 29 settembre scorso, si è detto indignato del comportamento nordamericano. Il governo cubano chiede con forza il rientro in patria di una persona che definisce “un eroe della Rivoluzione”. Castro ha scritto: “Il governo statunitense protegge mostri come Posada Carriles e Orlando Bosch, che hanno organizzato attentati e ucciso persone, mentre obbliga René a restare in una nazione che non punisce i veri assassini”.

Alcuni congressisti repubblicani, invece, si sono detti preoccupati per la liberazione di René González, definito “un nemico degli Stati Uniti, alla stregua del regime che serve, patrocinatore del terrorismo.

Se leggiamo oltre le reciproche prese di posizione giocoforza estreme, è possibile intuire uno spiraglio di luce alla fine di questa annosa vicenda.


Gordiano Lupi

Garrincha e la morte di Steve Jobs


Il disegnatore cubano Garrincha vede così la morte di Steve Jobs.

Yoani collabora con la radio spagnola


La presenza di Yoani Sánchez diventa abituale sulle frequenze della radio nazionale spagnola. Possiamo dire che la stampa spagnola continua a sfidare il regime dei fratelli Castro, premiando e riconoscendo l'opera della nota blogger alternativa. Ricordiamo che la notorietà di Yoani ha cominciato a essere tale dopo aver vinto il Premio Ortega y Gasset di giornalismo digitale, organizzato da El Pais. Da alcuni mesi, Yoani collabora stabilmente con El Pais, redigendo una colonna aperiodica dove racconta la vita quotidiana a Cuba. Adesso uno dei programmi più seguiti della radio spagnola ha inserito Yoani Sánchez tra i suoi collaboratori.
Per ascoltare il programma: www.youtube.com/embed/eC8SLqpqUZE

Gordiano Lupi

mercoledì 5 ottobre 2011

Il Movimento Cristiano di Liberazione a Roma

I dissidenti cubani ricevuti da Casini, Schifani e Fini

È stato illustrato il documento unitario El camino del pueblo


Una delegazione del Movimento Cristiano di Liberazione (MCL), capeggiata da Regis Iglesias, esiliato in Spagna, e da Michele Trotta, rappresentante in Italia, è stata ricevuta ieri dal leader UDC, Pierferdinando Casini. “Non deve scendere il silenzio su Cuba e sul suo popolo. Il mio partito sarà sempre al fianco di chi lotta per libertà e democrazia”, ha detto il politico italiano. L’incontro è stato intenso ed è terminato con una telefonata di Casini a Payá.

Questa mattina la delegazione cubana è stata ricevuta dal Presidente del Senato, Renato Schifani. Tra i componenti del MCL presenti a Roma ricordiamo leader in esilio come Jose Miguel Martinez e Jesus Mustafa Felipe. Lo scopo principale della visita è stato quello di illustrare il documento El Camino del Pueblo, dichiarazione di principi sostenuta da oltre 400 attivisti dell’opposizione. I dissidenti hanno denunciato al Presidente del Senato italiano che a Cuba si stanno vivendo momenti di dura repressione, perché l’oligarchia comunista intende conservare le leve del potere e non fa nessuna concessione su temi importanti come libertà e diritti umani. L’incontro è stato molto positivo. Schifani ha trasmesso ai cubani tutta la sua solidarietà e il sostegno per una causa che è quella del trionfo della libertà.

Il Presidente della Camera dei Deputati, Gianfranco Fini, ha ricevuto nel pomeriggio la stessa delegazione cubana che ha consegnato anche a lui copia de El camino del pueblo. Fini ha espresso la sua solidarietà agli interlocutori e ha detto di condividere le aspirazioni democratiche del popolo cubano.


Gordiano Lupi


Per ascoltare la cronaca di Regis Iglessias, in lingua originale:

Miami: Muore suicida lo storico cubano Carlos Ripoll


Carlos Ripoll è morto suicida a Miami. Il mondo delle lettere ha perduto uno dei più grandi esperti sull’opera di José Martí e un uomo sincero che ha dedicato gran parte della sua vita a denunciare misfatti e menzogne dei fratelli Castro. Ripoll ha scritto oltre 50 libri sul pensiero di Martí per dimostrare che il grande simbolo dell’indipendenza cubana fu un liberale e un uomo profondamente antiautoritario che non aveva niente a che vedere con il pensiero comunista.

“Ripoll è la persona che più di tutti ha smentito qualsiasi relazione tra Marti e il pensiero dominante a Cuba”, ha commentato lo scrittore Carlos Alberto Montaner. “Una parte fondamentale del suo lavoro è stata dedicata a demolire l’impalcatura teorica costruita dal regime cubano per dimostrare che Fidel Castro sarebbe l’erede del pensiero di Martí.

Ripoll non scriverà più. Si è tolto la vita domenica scorsa a Miami. Ha lasciato un numero di telefono di una cugina e un biglietto accanto al computer per chiedere comprensione del suo atto estremo: “È la cosa migliore per tutti”, diceva il messaggio. È morto un letterato, uno storico, un autore sincero, senza peli sulla lingua. Aveva 90 anni.


Gordiano Lupi

Un progetto unitario per la dissidenza cubana


Un gruppo di dissidenti cubani ha presentato martedì 4 ottobre un progetto unitario per spingere la popolazione a unirsi in una lotta pacifica contro il regime. "Vogliamo far capire che abbiamo un progetto comune di cambiamento. Faremo nuovi incontri per decidere quale tattica usare per convincere il popolo a lottare pacificamente contro il governo", ha detto l'ex prigioniero politico José Daniel Ferrer García.

La Dichiarazione di Unità è stata firmata, tra gli altri, da Ferrer, Oscar Elías Biscet, Guido Sigler e Librado Linares, prigionieri politici liberati nel 2011 dopo aver scontato sette anni di prigione, e da Guillermo Fariñas, Premio Sacharov 2010. I dissidenti richiamano l'opposizione a unirsi attorno a determinati punti chiave: lotta pacifica, rispetto dei diritti umani, cambiamento in senso democratico, un nuovo sistema legale e l'unità di tutti i cubani, ovunque residenti. La proposta economica è chiara: "abbandonare il modello sovietico di pianificazione centralizzata per un'economia moderna, sviluppata ed efficiente".

Oscar Elías Biscet ha detto che "tutti i progetti di cambiamento sono validi, ma adesso è il momento di unirsi attorno a un documento comune". Fariñas ha aggiunto che il documento "è aperto a modifiche, cerca di essere unitario ma non impositivo". Si richiede l'apporto di altri dissidenti per avere maggior forza. Hanno partecipato alla conferenza Rene Gómez Manzano, Angel Polanco e sua moglie, Librado Linares e Dania Virgen García. L'attivista per i diritti umani Elizardo Sánchez Santa Cruz e il dissidente Héctor Palacios volevano partecipare, ma non hanno potuto assistere per motivi improcrastinabili. Sono stati invitati a firmare il documento tutti i leader dell'opposizione, ma molti non hanno partecipato per colpa del rigido controllo di polizia cui sono sottoposti. Purtroppo erano assenti noti dissidenti come Oswaldo Payá, Martha Beatriz Roque e Vladimiro Roca.

L'unità dell'opposizione a Cuba è un problema importante e di difficile soluzione, perchè ogni gruppo pretende di essere il più adatto per unire tutti gli altri. Litigiosità storica di un popolo, purtroppo.

Gordiano Lupi

Il Tirreno parla del mio libro su Fidel Castro


Francesca Lenzi su IL TIRRENO del 5 ottobre 2011

martedì 4 ottobre 2011

L’Avana censura le news inviate sul cellulare

Il regime cerca di criminalizzare l’invio di messaggi telefonici tramite telefono cellulare


Niente è più umano e legittimo che dare e ricevere informazioni. Ma non per il governo cubano che teme più di ogni cosa il fatto che il popolo abbia libero accesso alle notizie. A Cuba la libertà d’informazione è vista come un crimine e per questo motivo il regime spende milioni di dollari per cercare di interferire con le notizie che non provengono dal suo apparato di propaganda.

Il governo cubano non conosce l’art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione. Nessuno sarà perseguitato per motivi di opinione. Una persona è libera di ricevere informazioni, così come può diffonderle, senza limiti di frontiere, tramite ogni mezzo di espressione”.

Il governo cubano cerca di difendersi dall’invasione delle notizie. Non ha preso bene l’accordo stipulato tra Radio Tv Martí - media informativo del dissenso - e una compagnia del Mariland, per costruire un sistema informativo capace di inviare decine di migliaia di messaggi ogni mese a utenti di telefonia cellulare cubani, che esprima la volontà di ricevere notizie.

Radio-TV Martí esiste per volontà sovrana del popolo statunitense. Una legge di iniziativa parlamentare, promulgata il 4 ottobre 1983, sta alla base della sua creazione, quando era presidente Ronald Regan. Non è Radio-TV Martí a compiere un reato cercando di informare il popolo cubano. È il governo cubano che viola la legge quando priva la sua cittadinanza di un’informazione vera, libera e pluralista.


Gordiano Lupi

Due vignette cubane


Jardim (El Nuevo Herald, domenica 2 ottobre) - In attesa di segnali.


Omar Santana (El Nuevo Herald di oggi) - "Raul aveva capito tutto. O rettifichiamo o sprofondiamo".

lunedì 3 ottobre 2011

Oswaldo Payá: A Cuba non è cambiato niente

Intervista esclusiva con Oswaldo Payá
Il contenuto è la trascrizione del video originale spagnolo che si può leggere a questo link: http://www.oswaldopaya.org/es/2011/09/30/video-oswaldo-paya-yo-diria-libertad/ 



Le riforme? Soltanto fumo negli occhi!

La dissidenza cubana è vera, fatta di uomini dignitosi e perseguitati

Se c’è una parola che rappresenta il cambiamento, questa è libertà


Abbiamo incontrato Oswaldo Payá, promotore del Progetto Varela e del Progetto Heredia, che adesso si è fatto portavoce di un documento unitario della dissidenza: El Camino del Pueblo. L’occasione è stata propizia per rivolgere alcune domande.

Come vede la situazione cubana dopo le riforme di Raúl Castro?

Il popolo cubano è sempre più povero, la maggioranza dei lavoratori riceve un salario sufficiente a mangiare per non più di tre giorni. Un cittadino cubano non può uscire ed entrare dal paese e non può esprimersi liberamente per strada. A Cuba esiste un regime comunista, ci sono i CDR che sorvegliano, c’è la Sicurezza di Stato che reprime, il solo sindacato ammesso nei centri di lavoro è quello comunista, il solo partito - tanto per cambiare - è quello comunista. A Cuba si controllano e si minacciano le persone, esistono discriminazioni per accedere ai posti di comando, dovute a motivi ideologici e politici. Il popolo cubano non può eleggere liberamente i governanti tramite vere elezioni dove si possa scegliere tra diversi candidati i rappresentanti al Parlamento.

Ma i cambiamenti economici non hanno prodotto miglioramenti?

A Cuba non c’è democrazia. I cambiamenti economici sono solo fumo negli occhi. Il cubano medio è autorizzato a vendere crocchette, pizze, patatine, fritture e poco altro. I ristoranti di lusso e le paladares eleganti sono gestite da una classe sociale nata dai privilegi di un’oligarchia al potere. Il popolo continua a non avere prospettive. Non è cambiato niente. Il popolo vive inconsapevole di cosa potrà accadere nel futuro e le preoccupazioni crescono perché non è possibile avere un progetto di vita.

La situazione dei prigionieri politici è migliorata? Molti sono stati liberati grazie alla mediazione della Chiesa cattolica…

A Cuba ci sono ancora prigionieri politici, anche se non se ne parla più, persone come Yosvany Melchor, condannato a Santiago de Cuba il 30 novembre 2010, per aver collaborato con noi. Si mantiene la cultura della paura, non esistono diritti civili e politici.

Adesso si potranno comprare e vendere automobili. Secondo lei è una vera conquista sociale?

Come si può parlare di cambiamento? Ci permettono di compare automobili: ma chi vende e chi compra? Soltanto un’oligarchia al potere, non la maggioranza del popolo. Stanno costruendo uno scenario virtuale e lo spacciano per un cambiamento reale. Mi indigno quando parlano della possibilità di comprare e vendere auto, perché è una gigantesca frode. Ai tempi di Pinochet e di Batista si potevano vendere e comprare auto, ma era consentito persino in Sudafrica durante l’apartheid. Non per questo la situazione era positiva.


Il suo Movimento Cristiano di Liberazione che cosa propone?

Noi cubani abbiamo diritto ai diritti. Per questo il nostro movimento, insieme ad altri dissidenti, ha lanciato il progetto El Camino del Pueblo, per dire che i veri cambiamenti sono i diritti che garantiscono la libertà di espressione, la possibilità di viaggiare, di aprire imprese, di poter accedere ai mezzi di comunicazione e diffusione, di avere libere elezioni, insomma tutti quei diritti per ottenere i quali in ogni parte del mondo le giovani generazioni stanno lottando. Perché a Cuba non ci dovrebbero essere libere elezioni? Il nostro popolo è nato per essere governato 52 anni da Fidel Castro e adesso per altri 50 da Raúl Castro, dalla nuova oligarchia e dai loro eredi? Sono proprio loro la fonte delle disuguaglianze, della povertà, della separazione di molte famiglie, della paura in cui vive il popolo cubano. Il popolo ha diritto di vivere dignitosamente e di portare avanti un suo progetto.

Cosa risponde a chi sostiene che la dissidenza cubana non esiste, che gli oppositori sono costruiti dall’esterno e rispondono a governi stranieri?

Cuba è una nazione sottomessa a una dittatura da 52 anni e il governo cerca di far tacere le voci libere. Come si fa a sostenere che non esiste la dissidenza? Siamo i soli a chiedere con forza libertà ed elezioni. La nuova oligarchia si sta spartendo Cuba come una torta, mentre noi diciamo che non ci fidiamo di Raúl Castro ma vogliamo dare il voto al popolo, umiliato e offeso, oltraggiato da una dittatura.

Altri dicono che non siete uniti, che la dissidenza è divisa, che non ha un progetto comune…

L’opposizione ha un suo documento, basta leggere il Progetto Varela nel mio sito www.oswaldopaya.org, ma anche El Camino del Pueblo. Abbiamo molte proposte, chiediamo cambiamenti nella legge elettorale e nelle regole associative, proponiamo un dialogo nazionale con spirito di riconciliazione e nuove leggi. Il problema è che ci reprimono e ci perseguitano. Non abbiamo uno spazio dove esporre i nostri progetti e le nostre proposte, la televisione non ci concede programmi e persino la stampa straniera parla poco di noi. Non è vero che la dissidenza sia divisa e che non abbia un programma. Questa è la versione del governo che non desidera avere a che fare con la dissidenza, ma cerca l’appoggio degli stati europei, nordamericani e latinoamericani per sostenere le presunte riforme di Raúl Castro. Siamo fastidiosi e scomodi, perché non abbiamo paura di affrontare le cose in maniera radicale e di dire che Cuba non è uno Stato di diritto, non rispetta la dignità dei cittadini, è ancora un paese di ricchi e di poveri, nel quale i poveri non hanno neppure il diritto di dire che sono poveri .


Cosa potrebbe fare la comunità internazionale per favorire un reale cambiamento a Cuba?

La dissidenza cubana non è aiutata dalla comunità internazionale, anzi si tende a far credere che non esista, si cerca di squalificarla, di far passare i dissidenti per mercenari al soldo di potenze straniere. Tutto questo non accadeva con il Cile di Pinochet, perché i dissidenti cileni venivano sostenuti. Non comprendo come mai con noi il comportamento sia diverso. Il nostro progetto unitario si chiama El Camino del Pueblo, firmato da blogger importanti e dissidenti prestigiosi. Non è vero che non abbiamo un progetto di cambiamento. Ognuno di noi esprime uno stile differente e originale, ma abbiamo una base unitaria. I dissidenti cubani sono persone coraggiose e dignitose, perseguitate e stigmatizzate dal regime, che soffrono insieme alle loro famiglie per affermare un’idea di libertà. La comunità internazionale dovrebbe chiedersi perché vengono percossi e per quale motivo una donna vestita di bianco che sfila per strada con un gladiolo in mano deve essere considerata una provocazione. Solo in un regime fascista o comunista come quello cubano possono accadere cose simili. La cosa assurda è che quando si parla di Cuba spesso viene criticata la vittima e non il persecutore. La stampa straniera, certi intellettuali, ecclesiastici, diplomatici e politici si rendono complici del regime se cadono nel trabocchetto di capovolgere il senso morale e si schierano contro il popolo cubano, contro la dissidenza e a favore della dittatura.

A suo parere cosa serve davvero a Cuba per cambiare?

I cubani non sono stupidi, si rendono conto che attorno a loro si mantiene la cortina di fumo della menzogna, ma la cosa peggiore è che la stampa straniera e molti intellettuali sostengono questa falsa visione del comunismo che sta cambiando le cose attraverso un patto con i cittadini. Non è vero! Cuba ha bisogno di libertà, diritti civili, libertà di espressione del pensiero, libertà di associazione e libere elezioni. E nessuno ne parla. Chiediamo un referendum popolare. Vogliamo che il popolo esprima la sua opinione. Il regime non ci concede neppure 15 minuti in televisione, perché ha paura della verità. Mi rivolgo alla stampa e agli intellettuali. Non sostenete le menzogne del regime cubano, perché il vostro appoggio non ci aiuta ma ci porta a sprofondare sempre di più!

Cuba può diventare una nuova Libia?

C’è chi paragona Cuba a Libia ed Egitto e si chiede perché i cubani non scendano in strada per manifestare. Non chiamerei mai i cubani a scendere in piazza, perché sono convinto che non lo farebbero se qualcuno li chiamasse, ma sono altrettanto convinto che se un giorno decidessero di uscire per strada nessuno li potrebbe riportare a casa, né con la paura, né con il terrore. Noi reclamiamo diritti e non vogliamo interventi esterni. Non vogliamo che Cuba si strasformi in una nuova Libia, né che nessuno permetta che si massacrino i cubani per dopo venire a bombardare e a mettersi d’accordo con uno dei generali che sta guidando la repressione.

Che cos’è El Camino del Pueblo?

El Camino del Pueblo è un progetto pacifico, trasparente, che va al nocciolo della questione: diamo ai cubani diritti e voce, cominciamo un dialogo nazionale, indiciamo libere elezioni. Non permettiamo che la frode e la menzogna vengano propagate oltre, mentre un’oligarchia di nuovi ricchi si afferma a danno del popolo. Intorno a noi vediamo accordi scellerati tra nuovi ricchi cubani e ricchi di tutto il mondo, ex comunisti, neocomunisti, capitalisti selvaggi e comunisti selvaggi.

A suo parere la situazione cubana non accenna a migliorare. Vede tutto nero e con poche vie d’uscita. Cosa potrà accadere?

Il popolo cubano è sempre più emarginato, sta subendo quel che accadde nel 1898, e non può sopportare oltre una situazione insostenibile. Sono un cubano, non sono un turista. Non vivo in una vetrina, mangio in una mensa operaia, ho rapporti con medici, infermieri, pazienti, con i miei compagni di lavoro, che rispetto e con i quali sono orgoglioso di lavorare, anche se vengo controllato giorno e notte dalla Sicurezza di Stato. Nonostante tutto vivo all’Avana, faccio le code che fanno tutti, cammino per strada, parlo con amici e conoscenti. So che i cubani vorrebbero una nuova vita, libertà e diritti. E invece possono solo pensare a come andarsene da Cuba, non importa come, né in quale direzione, come missionario, collaboratore, invitato, rifugiato, turista. Perché accade questo? Per i cubani l’esilio è sempre stato un castigo. Fino a oggi abbiamo sofferto un regime totalitario e adesso subiamo una truffa ancora più grande: ci vogliono imporre un cambiamento virtuale senza concedere diritti. Non lo permetteremo. Continueremo a reclamare i nostri diritti, anche se diranno che la dissidenza e l’opposizione non esistono, noi insisteremo con le nostre richieste.

Che cos’è la Sicurezza di Stato e quali compiti si prefigge?

La Sicurezza di Stato è una macchina del terrore. In primo luogo contro i cittadini. I cubani odiano questa polizia politica, la chiamano la Gestapo, un’espressione popolare che non ho certo inventato io. La Sicurezza di Stato è una fabbrica di menzogne. Spesso costruisce agenti e li infiltra nelle file dell’opposizione, nel giornalismo indipendente, perché dicano bugie, sabotino il lavoro civico, diano false informazioni, per poi far cadere la colpa sulla dissidenza. E in definitiva questo lavoro non lo sanno fare neppure bene. Non è difficile scoprire i loro uomini. Il regime cerca di screditare la dissidenza inventando figure, raggruppamenti e situazioni che non esistono nel movimento oppositore.

Quali difficoltà incontra il suo movimento per far conoscere le proposte innovative e libertarie ai cittadini cubani?

Moltissime. Perché non ci fanno parlare del Progetto Varela e del Progetto Heredia in televisione? Perché non discutiamo sul progetto de El Camino del Pueblo? Perché non ci fanno spiegare ai cittadini e al mondo ciò che sentiamo e vogliamo? Conosco il motivo. Perché se molte persone leggessero il Progetto Varela e la Legge di Riconciliazione Nazionale e Contro la Discriminazione, troverebbero il coraggio di firmare.

Cuba resta una dittatura e un regime chiuso. Non vede proprio spiragli di cambiamento?

Il regime si limita a dire: “Deve essere così” e non permette al popolo di ragionare con la propria testa. Noi rispondiamo con fermezza, ma senza odio di nessuna classe, con profonda pace: “Non andate contro la storia, lasciate che la nuova generazione viva la propria vita e abbia un progetto. Guardiamo avanti e costruiamo la nuova società, conservando le cose positive, ma come uomini liberi”. Le persone non sono loro proprietà. Non devono divorare la vita di una nuova generazione dopo aver segnato 52 anni della nostra storia. Adesso è ora di dire basta. Non vogliamo che Cuba sia una nuova Libia. Non vogliamo un intervento esterno nella nostra patria. Ma non vogliamo neppure continuare a vivere così. Vogliamo una nuova vita. E se c’è una parola che rappresenta il cambiamento di cui ha bisogno Cuba, ascoltatemi bene, questa è libertà.

Gordiano Lupi