giovedì 11 agosto 2011

Clirim Muca scrive su Felix Luis Viera



Grazie, Viera, della bellezza e della speranza.

La patria è un'arancia è un poema di grande respiro, un contributo significativo alla poesia mondiale. Una testimonianza d'amore, una denuncia contro la dittatura e le dittature, il tiranno e le tirannie. Versi pieni di vita, di una vita segnata dalle perdite: della patria, degli affetti. Il poeta due volte esiliato, mille volte. A portare la croce di tutto un popolo segnato dalla dittatura. La croce del poeta pesa di più, perché vive con la consapevolezza della mancanza della libertà, che per lui è preziosa come l'aria.

Perché la poesia di tutti i regimi è malata? Perché manca l'ossigeno della libertà. Sotto le dittature cresce una letteratura rachitica e una poesia asmatica, già morta prima della morte della dittatura stessa.

La vera poesia, come quella di Viera, è come un uragano; cannoni e proiettili contro il regime castrista, ma anche bende per le piaghe dell'anima, per tutti quelli che soffrono. Dolcezza pura per i cuori innamorati, strazio e tenerezza per l'amore filiale.

La madre Patria è stata come una matrigna, purtroppo, né la prima e né l'ultima, per molti, milioni di persone. La vera Patria per il poeta è stata la borsa del pane nelle mani del padre, l'odore dell'incenso che bruciava nelle strade conosciute, il primo e il penultimo amore. Ma non la bandiera del tiranno, le canzoni della propaganda che invocano il morire per la patria per vivere. Vivere per il poeta è aggrapparsi ai ricordi, anche quelli più remoti; raccogliere i pezzetti d'astri sparpagliati nella sua stanza di bambino, decifrare il futuro nei tramonti sull'oceano, nelle poche fotografie sbiadite dal tempo.

Non si scappa dalla Patria. La Patria si porta come un'arancia profumata nella tasca vicino al cuore. Il poeta s'inebria del suo profumo, s'ispira a questa arancia, che neanche il dittatore ha il potere di sottrarre.

Anche per il dittatore la Patria è come un'arancia, ma una da spremere fino all'ultima goccia.

Cuba, la Città del Mexico, il Golfo stesso, un trampolino da dove la poesia spicca il volo per abbracciare l'umanità. A narrarci del poeta alla ricerca di una lacrima.

Come Lorca cantava New York così Viera canta Città del Messico senza dimenticarsi dell'Havana. Canta le vie polverose, i mendicanti, gli ultimi, le puttane, i mercati del rubato, le piazze rumorose, l'inestricabile vita sotterranea della metropolitana. Viaggia il poeta osservatore in questo inferno alla ricerca di una lacrima. Attento ricercatore di perle di lacrime, unico misuratore della nostra umanità. E se gli occhi altrui sono aridi come il deserto, i suoi occhi, gli occhi del poeta, sono oceani pieni, pronti a trasbordare dai loro argini.

L'amore è cantato senza finti pudori, con passione e desiderio. I capelli, gli occhi dell'amata, i seni, le cosce aperte, gli odori e gli umori della vulva. L'amore di una donna come antidoto alla solitudine, come balsamo sulle ferite inferte dal destino.

Anch'io non ho avuto un'acquario e la patria me la porto nel cuore. Quanti miliardi di persone non hanno avuto e hanno un'acquario! Ma i dittatori sì, i generali sì, i banchieri sì, i funzionari di partito sì. A tutti loro questi versi di denuncia contro il pescecane rosso, contro le ingiustizie, contro i soprusi del potere.

A quelli che non hanno avuto e non hanno tutti i denti per il latte, questi versi.

Il poeta chiede perdono alla Patria, ma in un futuro non lontano, sarà la Patria liberata a chiedere perdono al poeta. A tutti i poeti sparpagliati per il mondo, con i germogli della Patria nel petto. Viera ha una poesia in regalo per ciascuno di loro, consapevole di cantare al meglio che la patria ha saputo produrre.

Il poeta sa di essere un esiliato in questo mondo. Ma se lo privano della Patria è come se gli togliessero un pezzo d'animo. E da quel grido di dolore nasce una grande opera, che ci riempie tutti di gioia per la sua grandezza e che farà tremare ancora di più il tiranno mentre succhia il succo della Patria-arancia.

Grazie, Viera, per la bellezza e per la speranza che ci hai regalato.

Grazie anche a Lupi d'aver tradotto e pubblicato questo poeta.

Lo dico sempre, grande editore è colui che pubblica grandi libri e non chi ha un fatturato con grandi numeri.


Clirim Muca
Poeta albanese, editore di Albalibri

Nessun commento:

Posta un commento