mercoledì 31 agosto 2011

Fidel Castro in fin di vita...


....ma è solo una voce diffusa su Twitter


Le voci che danno Fidel Castro morto o in fin di vita circolano periodicamente e di solito vengono regolarmente smentite. Detto questo, dobbiamo segnalare che da alcuni giorni la voce delle sue precarie condizioni di salute rimbalza su Twitter, la popolare rete sociale caratterizzata da brevi post composti da 140 caratteri.
Yoani Sánchez, di fronte ai molti messaggi di persone che si informavano sullo stato di salute di Fidel, ha scritto su Twitter di non avere certezze.
“Il mio telefono non smette di squillare. Tutti mi chiedono se è vero che Fidel Castro versa in gravi condizioni di salute. Non lo so, ma se anche fosse, noi cubani saremmo gli ultimi a saperlo", scrive la popolare blogger.
Pare che la voce sia stata diffusa da un sito informativo cileno, ma il tam tam di Internet da alcuni giorni è diventato intenso. Secondo Naked Security il messaggio originale circolava dai primi giorni di agosto con il titolo: "Fidel è morto". Il messaggio era falso e conteneva in allegato un pericoloso virus.
In definitiva nessuna certezza sulle condizioni di salute di Fidel ma solo una ridda di voci incontrollate.


Gordiano Lupi

martedì 30 agosto 2011

Pablo Milanés canta a Miami


Il cantautore cubano Pablo Milanés ha detto durante il concerto che si è tenuto a Miami - tra le proteste di piccoli gruppi di fondamentalisti anticastristi - che prova vergogna e indignazione per come le Dame in Bianco vengono maltrattate a Cuba. Milanés ha aggiunto che nel suo paese non esiste uno spazio libero all'interno dei mezzi di comunicazione per esprimere le proprie idee. "Questo non significa che sono in totale disaccordo con Fidel Castro", ha concluso. La dissidenza più oltranzista di Miami non perdona a Milanés il fatto di dichiararsi comunista, sebbene con atteggiamento critico, e rimprovera al cantautore di essere stato a lungo il megafono colto della politica fidelista.

In ogni caso il cambiamento politico del cantautore è evidente. Milanés ha dedicato il concerto "ai cubani che per i più disparati motivi vivono in esilio". Milanés si fa portavoce (come Carlos Alberto Montaner e Yoani Sanchez) di una politica di riconciliazione nazionale che comprenda sia i cubani che vivono sull'isola che gli esiliati. "Non è più il momento dell'odio, di gridare abbasso, di dividere con un colpo netto il bianco dal nero, ma di una lotta comune per la libertà, criticando per migliorare il nostro quotidiano, unendo invece di dividere e cercando le cose che abbiamo in comune", scrive il cantante in una lettera a El Nuevo Herald.

Milanés afferma di non avere nessun tipo di compromesso con i dirigenti rivoluzionari, che rispetta, ma quando è il caso non risparmia le critiche nei loro confronti. Il suo atteggiamento non ha convinto i più estremisti che hanno accolto il concerto tra le grida di: "Spia!", "Complice del regime!", "Venduto!".

Gordiano Lupi

domenica 28 agosto 2011

Protesta all'Avana, nel quartiere Cuatro Caminos


Ivonne Mallesa Galano e Rosario Morales La Rosa, due donne della Rete Cubana dei Comunicatori Comunitari, sono state arrestate dopo aver inscenato una protesta nel quartiere avanero di Cuatro Caminos. Molte persone si sono fermate a vedere la manifestazione a base di piatti, stoviglie e grida, infine hanno seguito la polizia fino alla stazione dove sono state portate le manifestanti. Prima di allontanarsi il piccolo gruppo di cubani ha grdato a viva voce la parola: "Libertà!". Questo fatto segue di pochi giorni le proteste avvenuto sulla scalinate del Capitolio Nacional. Certo, è ancora poco, ma il popolo non resta più inerte di fronte ai soprusi della polizia.

Gordiano Lupi
Ultime notizie: Gheddafi scappa ai ribelli e va a Cuba. Esce a passeggio in incognito, vestito di bianco. Lo scambiano per una Dama inBianco e il resto è storia. Ogni tanto fischiettava, ma niente più.

Garrincha su El Nuevo Herald.

sabato 27 agosto 2011

FIDEL CASTRO – Biografia non autorizzata



A.Car (Milano, 2011) – Pag. 250 – Euro 15,00

Fidel Castro è sempre stato un brillante parlatore, un uomo erudito e colto. Oratore spigliato che esprimeva concetti importanti con proprietà di linguaggio, travolgente e coinvolgente con i suoi interlocutori. Un vero e proprio capo di grande personalità e magnetismo capace di ipnotizzare le masse e ricevere consensi. Non ha mai accettato la sconfitta, è sempre stato testardo fino alle estreme conseguenze e non si è mai dato per vinto. Non ha mai amato la disciplina, si è sempre sentito padrone di se stesso, non si è mai iscritto a un partito e non ha mai voluto sottostare a regole gerarchiche e formalismi. La sola persona che ha influenzato la sua indipendenza è stata Celia Sánchez, consulente rivoluzionaria, donna fidata e amante sulla Sierra. Fidel ha avuto un’educazione cattolica, ma in vita sua si é comportato nei modi più assurdi nei confronti dei culti religiosi, arrivando a vietarli dopo il trionfo della rivoluzione e rinchiudendo preti e santéros nelle famigerate UMAP (veri e propri lager per antisociali). In tempi recenti Fidel si è riavvicinato alla religione e la visita di Papa Giovanni Paolo II all’Avana ha rappresentato un evento storico. Fidel è sempre stato un pragmatico, ha sempre fatto ciò che più gli conveniva, plasmando idee e rapporti secondo le necessità del momento. Non è mai stato razzista, anzi ha contribuito a smussare il razzismo strisciante presente a Cuba. Non è mai stato un marxista ortodosso, la rivoluzione cubana è la sua rivoluzione, il movimento di pensiero nato dalla sua forte personalità di caudillo latinoamericano.
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Gordiano Lupi (Piombino, 1960). Collabora con La Stampa di Torino. Traduce gli scrittori cubani Alejandro Torreguitart Ruiz, Yoani Sánchez, Felix Luis Viera ed Heberto Padilla. Ha pubblicato molti libri monografici sul cinema di genere italiano per la casa editrice romana Profondo Rosso. Collabora con www.tellusfolio.it curando rubriche su Cuba, cinema italiano e narrativa italiana. Tra i suoi lavori più recenti: Cuba Magica – conversazioni con un santéro (Mursia, 2003), Un’isola a passo di son - viaggio nel mondo della musica cubana (Bastogi, 2004), Almeno il pane Fidel – Cuba quotidiana (Stampa Alternativa, 2006), Mi Cuba (Mediane, 2008), Fellini - A cinema greatmaster (Mediane, 2009), Sangue Habanero (Eumeswil, 2009), Una terribile eredità (Perdisa, 2009), Per conoscere Yoani Sánchez (Il Foglio, 2010), Velina o calciatore, altro che scrittore! (Historica, 2010), Tinto Brass, il poeta dell’erotismo (Profondo Rosso, 2010), Storia del cinema horror italiano - vol. 1 Il Gotico (Il Foglio, 2011). Cura la versione italiana del blog Generación Y della scrittrice cubana Yoani Sánchez e ha tradotto per Rizzoli il suo primo libro italiano: Cuba libre – Vivere e scrivere all’Avana (2009). Pagine web: www.infol.it/lupi. E-mail per contatti: lupi@infol.it

Benvenuto, Pablo Milanés

di Carlos Alberto Montaner


Per bocca del cantautore potranno parlare centinaia di migliaia di comunisti cubani che si considerano veri riformisti.

Oggi (sabato 26 agosto, ndt) si esibirà a Miami il cantautore Pablo Milanés. Si tratta di un evento intriso di contenuto politico che vale la pena analizzare.

Pablo Milanés ha detto tre cose molto importanti durante un’eccellente intervista concessa a Gloria Ordaz di Univisión. Ha detto che non desidera più cantare per Fidel Castro, che non ha niente in contrario a dedicare una canzone alle Dame in Bianco, e che è un rivoluzionario critico, impegnato con il sistema socialista.

Bene. Questo significa, prima di tutto, che il famoso cantautore ha rotto definitivamente con quella penosa subordinazione morale e intellettuale verso il caudillo che caratterizza le irrazionali dittature personaliste; secondo, che accetta il pluralismo e le differenze all’interno di una società nella quale molte persone mantengono posizioni diverse, senza che questo le trasformi in nemici esecrabili o in agenti della CIA; e, terzo, che non ha smesso di essere comunista, ma non è disposto a tacere di fronte agli errori e ai soprusi del suo governo. Si considera un militante, ma non è cieco e muto di fronte alle cose che non vanno. Il rivoluzionario è un ribelle, non un personaggio quieto e sottomesso.

La mia impressione è che per bocca di Pablo stanno parlando centinaia di migliaia di comunisti cubani che si considerano veri riformisti. Per loro, non bastano le quattro toppe che Raúl vuol mettere al sistema produttivo per conservare la dittatura del partito unico, manovrata da un gruppo di persone scelte dal generale all’interno della ristretta cerchia dei suoi fedelissimi. Questo, secondo quanto si deduce dalle parole di Pablo, non è un governo moderno e legittimo, ma una banda al servizio di un capo onnipotente, incapace persino di rispettare i principi del “centralismo democratico” che dovrebbero regolare le relazioni tra camerati. Per questo motivo Pablo chiede cambiamenti reali.

I democratici dell’opposizione devono fare uno sforzo per comprendere il fenomeno. Pablo Milanés, e con lui centinaia di migliaia di persone che si considerano “rivoluzionarie”, non sono nemiche. Sono avversari politici che hanno certe idee, a mio giudizio assurde, ma restano persone con le quali si potrà e si dovrà convivere in una Cuba liberata dal dogmatismo stalinista dei Castro. Come accade in ogni democrazia sviluppata del pianeta, gruppi ideologicamente diversi convivono nei parlamenti e riescono a trovare momenti di collaborazione.

Forse i giovani cubani non lo sanno, ma nel periodo 1940 - 1944, in piena democrazia, il generale Fulgencio Batista, sostenuto dai comunisti, venne liberamente eletto alla presidenza della repubblica dalla maggioranza dei cubani. In un’epoca segnata da una crescita impetuosa, i comunisti - batistiani difendevano il pluralismo, al punto che entrarono a far parte del governo due ministri di questo partito politico. Quando Batista lasciò la presidenza e si recò in Cile, Pablo Neruda lo salutò con un testo molto ossequioso e pieno di aggettivi entusiasti.

Dopo oltre mezzo secolo di disgrazie, fucilazioni, esili di massa, impoverimento progressivo, avventure militari, violazioni dei diritti umani ed esercizio arbitrario del potere da parte di un caudillo illuminato, impegnato a reinventare tutto quel che esiste, dagli esseri umani alle mucche, passando per il caffè o l’apicoltura, è giunta l’ora che la società, tutta la società, assuma la direzione del suo destino in forma pacifica, razionale, pluralista e collegiale. Questo processo comincia con una sobria stretta di mano tra i comunisti riformisti e democratici dell’opposizione. Sono, e dovranno essere, avversari rispettabili, non nemici

Benvenuto, Pablo Milanés.



Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

Fonte: Diario De Cuba

La vignetta di Omar Santana

Da El Nuevo Herald del 27/8/11.

venerdì 26 agosto 2011

Luci e ombre di un film cubano


Lo scrittore Orlando L. Pardo critica il film Habanastation


Il giovane regista Ian Padrón con Habanastation affronta il difficile tema delle differenze di classe tra cubani attraverso due personaggi: un bambino povero che vive in un quartiere periferico e un bambino ricco, il cui padre è un jazzista che va all’estero e gli porta l’ultimo modello di playstation.

“Si tratta di un lungometraggio per tutti. Vuol essere una pellicola di intrattenimento, dotata di un soggetto molto semplice”, ha detto Orlando Pardo Lazo a Radio Martí. “Il film è importante perché cerca di osservare l’animo umano in ogni sua sfaccettatura, facendo vedere non solo i quartieri più sfavillanti e turistici dell’Avana, ma anche quelle zone periferiche che restano nell’ombra, regno di miseria e frustrazione”, aggiunge.

Non tutti la pensano come Pardo Lazo. Per Havana Time le cose stanno diversamente. “Habanastation è una cattiva versione della famosa poesia romantica Le scarpette rosa”, dice Isabel Díaz Torres, estensore del pezzo. Come esempio del suo assunto cita scene false come i bambini di un quartiere malfamato che cantano con entusiasmo l’inno nazionale. “Si tratta di una Cuba non veritiera, fasulla, un paese che non riconosco, pure se a tratti spuntano elementi di realtà”, aggiunge. Orlando Pardo Lazo ritiene che non sia giusto analizzare come se fosse un film per adulti una pellicola destinata ai ragazzi. “Non è una Riflessione di Fidel Castro, né una seduta del Parlamento cubano, né un Programma dei Lineamenti del PCC. Habanastation è solo un’opera d’arte per bambini”, scrive il noto blogger su Diario De Cuba.

Isabel Díaz Torres dice su Havana Times che è negativo aver preso come modello di padre ricco un jazzista di successo. “Sarebbe stato molto più coraggioso criticare l’aristocrazia militare dell’isola, gli alti dirigenti dello Stato, o gli ex militari che si sono trasformati in impresari turistici”, aggiunge.

Il cineasta cubano Sergio Giral è d’accordo con questa impostazione. “La mia pellicola Techo de Vidrio venne proibita da Fidel Castro proprio perché il personaggio principale era un alto funzionario di Stato che faceva sfoggio di enormi possibilità di fronte a un operaio”, dice. Secondo Giral, il film di Padrón è la classica storia edulcorata stile Il principe e il povero, ma “il punto più debole è che il padre del bambino è un artista”, conclude.

Resta il fatto che se il regista avesse inserito come protagonista negativo un ricco dirigente del partito, la pellicola sarebbe stata censurata. Meglio questo che niente, dunque, visto che Ian Padrón affronta un problema sentito a Cuba, come quello delle differenze sociali in una società che non può più dirsi (se mai lo è stata) egualitaria. Certo, tutto è molto soft e il lieto fine scontato conclude che il bambino ricco presta al povero la sua playstation, risolvendo ogni problema. Inoltre la vita del quartiere marginale dove vive il ragazzino povero è abbastanza decente, non è quella problematica di un quartiere marginale dove non è facile sbarcare il lunario. Lo scopo di Ian Padrón è quello di intrattenere e di realizzare un film per tutti, non certo di fare denuncia sociale. Il film riesce nel suo intento, anche se per apprezzare la vera Cuba dobbiamo rivolgerci ad altre fonti che non siano le produzioni cinematografiche ufficiali. Ne riparleremo dopo la visione.

Gordiano Lupi

giovedì 25 agosto 2011

La protesta delle 4 donne al Capitolio Nacional

Sara Marta Fonseca: “Il nostro obiettivo è che un giorno il popolo scenda in piazza a protestare”.


Sara Marta Fonseca è una delle 4 attiviste arrestate lo scorso martedì 23 agosto durante una protesta sulle scalinate del Capitolio Nacional, all’Avana, che ha catturato l’attenzione e il sostegno di decine di passanti e di alcuni turisti. “Il nostro obiettivo è che un giorno il popolo possa scendere in piazza insieme a noi”, ha detto Sara Marta Fonseca al periodico digitale Diario De Cuba. Il video della protesta è stato diffuso da Hablemos Press. Le altre partecipanti all’atto dimostrativo erano Tania Maldonado Santos, Mercedes Evelyn García Álvarez e Odalys Caridad Sanabria Rodríguez, appartenenti al Partito Per i Diritti Umani (affiliato alla Fondazione Andrei Sacharov) e al Movimento Femminista per i Diritti Civili Rosa Parks. La protesta ha avuto luogo per “pretendere la fine della repressione nei confronti di Dame in Bianco, opposizione e di tutta la popolazione cubana”. Le donne sono riuscite a restare sulla scalinata e a gridare parole d’ordine antigovernative per circa 40 minuti.

“Abbiamo scelto il Capitolio perché è un luogo molto centrale, dove passa tanta gente e circolano anche parecchi stranieri. A nostro avviso era il luogo ideale per richiamare l’attenzione popolare”, ha detto Fonseca mentre si recava alla sua casa di Río Verde, nel quartiere Boyeros, alcuni minuti dopo essere stata liberata.

“Sono molto contenta, anche se mi hanno picchiata e maltrattata, perchè abbiamo potuto constatare che il popolo è disposto a unirsi a noi”, ha sottolineato.

Sara Marta Fonseca ha detto che un ufficiale della Sicurezza voleva farle smettere di gridare, ma il popolo l’ha messo a tacere, sostenendo la loro azione di rivolta pacifica. L’attivista afferma che “è il momento di intensificare la presenza sulle piazze per far esplodere il malcontento sociale presente a Cuba”.

Non è la prima volta che Fonseca partecipa ad atti dimostrativi. Lo scorso anno la ricordiamo sulla scalinata dell’Università dell’Avana, mentre in altre occasioni è uscita per strada con altri dissidenti per gridare slogan antigovernativi. Ha dovuto subire repressioni dure, sia lei che la famiglia, a base di bastonate, intimidazioni e atti vandalici.

“La gente applaudiva e alzava le braccia al cielo. La risposta è stata più forte che in altre occasioni. Non possiamo sconfiggere da sole una dittatura ma possiamo cercare di convincere il popolo a scendere in piazza contro un potere oppressivo che dura da oltre cinquant’anni. Non tuteliamo gli interessi di nessuno, se non del popolo cubano…”, ha detto Fonseca.

Le quattro attiviste sono state trattenute e interrogate negli uffici di polizia di Zulueta y Dragones, all’Avana. Fonseca è stata trasferita all’unità di polizia di El Capri, nel municipio di Arroyo Naranjo, dove ha fatto un breve sciopero della fame, esigendo la liberazione. Secondo la polizia “la donna è al soldo di una potenza straniera che vuole destabilizzare Cuba”, ma lei ha gridato che la responsabilità dell’accaduto è solo della Sicurezza di Stato e di un governo dittatoriale che reprime la manifestazione del libero pensiero.

“Noi non facciamo gli interessi di altri stati, ma vogliamo la libertà per il nostro popolo. Vogliamo una Cuba libera e democratica, ma al tempo stesso sovrana. Non vogliamo interventi dall’esterno sul suolo della nostra patria”, ha concluso Fonseca.



Gordiano Lupi

Padre José Conrado: “Non mi faranno tacere”


Il parroco della Chiesa di Santa Teresa del Bambin Gesù, a Santiago de Cuba, dimostra grande coraggio e determinazione

“A Cuba la Chiesa non può far mancare la sua voce. Qui la gente ha paura di parlare, e chi osa farlo si compromette in maniera pericolosa”.


Il sacerdote cattolico José Conrado Rodríguez ha detto al periodico argentino Ambito Financiero che non giudica il suo trasferimento alla parrocchia rurale di El Cristo come un modo per farlo tacere, e in ogni caso non pensa di far mancare la sua voce in un momento così importante per Cuba.

“Si tratta di una pratica normale. Non credo che mi abbiano voluto punire e intimidire, come dicono i cubani in esilio e i dissidenti che vivono sull’Isola. Non mi hanno neutralizzato. Secondo Dante chi non si impegna in tempo di crisi e di guerra è destinato a finire nel Nono Cerchio dell’inferno. Sono soltanto una persona, ma la mia voce non mancherà nel momento del bisogno”, ha detto padre Conrado.

In merito al dialogo intavolato tra Chiesa Cattolica e governo cubano, padre Conrado ha aggiunto: “Non devono più esserci deportazioni di dissidenti, ma aperture, dialogo e pluralismo. Il governo deve rispettare i diritti umani, cosa che in questo momento non succede”.

L’autore di molte lettere indirizzate ai fratelli Castro ha concluso che la Chiesa non può tacere a Cuba, un paese dove la gente ha paura di parlare, mentre chi lo fa si compromette in maniera pericolosa.


Gordiano Lupi

Maltrattamenti negli anni Sessanta...


Garrincha è sempre molto efficace nel suo umorismo satirico.
Mariela Castro legge: "Le UMAP per Mariela" e pensa. "Guarda, guarda, negli anni Sessanta maltrattavano le persone!". Sullo sfondo un poliziotto del 2011 prende a calci un cittadino cubano.
Le UMAP (Unità di aiuto alla Produzione) sono i tristemente noti campi di rieducazione e lavoro per omosessuali, reliogiosi, rockeros e antisociali, partoriti negli anni 60 dalla fantasia rivoluzionaria.

Protesta e repressione a Cuba

Da Cuba mi spediscono questo filmato che dimostra quanta voglia di cambiamento cominci ad animare le strade cubane. Vediamo 4 donne coraggiose che chiedono libertà e democrazia, inscenando una manifestazione pubblica sulle scalinate del Capitolio Nacional dell'Avana. Le immagini fanno capire che l'azione dimostrativa è cominciata di fronte a pochi curiosi, ma poco a poco le persone sono andate aumentando. A un certo punto è arrivato un membro della Sicurezza di Stato, accolto da bordate di fischi e pesanti insulti, che non è riuscito a bloccare la manifestazione e a portare via le donne. Alla fine è giunta una pattuglia composta da diversi poliziotti in divisa che ha trascinato via le 4 donne, ancora tra fischi e insulti. Il popolo ha mostrato solidarietà nei confronti delle donne che stavano protestando, anche se la paura della repressione ha fatto desistere la maggior parte dei presenti. La sorte delle 4 donne è ancora ignota, sappiamo solo che sono state fermate, ma non è stato reso noto il luogo dove si trovano.  Il popolo cubano ha voglia di libertà e comincia a chiederlo a viva voce, ma il timore delle conseguenze impedisce l'inizio di una primavera cubana. 

mercoledì 24 agosto 2011

Uragano Libia


Garrincha e l'uragano Libia...
A Cuba la stampa parla appena di quel che sta succedendo. I commentatori televisivi sono quasi a lutto.
Chavez e Raul (per non parlare di Fidel) sono dalla parte del dittatore.
Queste cose il nostro amico Gianni Minà le conosce?

Ancora tu? Ma non dovevamo vederci più?

Gianni Minà suona la grancassa della menzogna

La Stampa ospita una sua intervista – comizio in onore del regime cubano


Fulvia Caprara, giornalista esperta di spettacoli ospita Gianni Minà su La Stampa e realizza un’intervista compiacente, di quelle che piacciono tanto ai dittatori e ai loro epigoni. Ormai lo sanno tutti che il buon Minà sarà ospite al Festival di Venezia per presentare un suo film - documentario su Cuba, finanziato dal regime. La Stampa pubblica i commenti di Yoani Sánchez, ma ha intervistato Minà per ben due volte in quindici giorni, dando modo al giornalista esperto di Cuba di esprimere le sue opinioni, che sono perfettamente in linea con gli articoli di fondo del Granma e con i commenti di Cubavision. Gianni Minà ha girato Cuba nell’epoca di Obama (con i soldi della famiglia Castro), per raccontare “una gioventù colta e piena di speranze che a breve dovrà inevitabilmente succedere ai vecchi combattenti della Revolución”. Di quali giovani parla Gianni Minà? Non certo dei blogger, dei rapper, dei ragazzi che organizzano festival musicali alternativi, dei dissidenti, degli scrittori messi al bando. No, lui parla dei giovani comunisti, della nomenclatura che affama il popolo e che lo tiene in una situazione di sottocultura e di sottosviluppo. Gianni Minà straparla di “un nuovo apparato politico cubano, composto da giovani colti, educati alla solidarietà, poco attratti dalle lusinghe del mercato”. Tutta gente che esiste solo nella scatola dei sogni, perché la speranza di Cuba non va riposta certo negli eredi dell’apparato, nei burocrati, nei poliziotti della Sicurezza di Stato e nelle componenti mistificatorie della pseudo - politica. Minà nel suo documentario ha filmato tutte le istituzioni statali, dall’Università, alla scuola d’arte, passando per la scuola di cinema, per finire con i corsi di scrittura creativa tenuti da Garcia Marquez. Il lavoro realizza l’immagine di un paese di Bengodi inesistente, composto da ragazzi laureati, privi di problemi ed entusiasti di un mondo quasi perfetto. Il solo problema di Cuba sarebbe l’embargo, ma Gianni Minà si spinge oltre, condanna pure la base statunitense di Guantanamo, che per i cubani è una meta di sogno per fuggire dall’inferno tropicale. Minà parla di dialogo tra Obama e Castro, con la mediazione di Carter, e fin qui poco male, ma quel dialogo dovrebbe essere cercato anche dal regime cubano, che mette sempre davanti solo lo schermo dell’embargo. Minà tocca il fondo quando parla di “un presente effervescente e vitale” e cita come cantautori simbolo del regime due persone così diverse come Pablo Milanés (che da tempo si è dissociato dai Castro) e Silvio Rodriguez. Inserisce nel novero dei grandi cantori della patria Roberto Fernandez Retamar e Alicia Alonso, ma persino Harry Villegas detto Pombo e non contento cita come scrittore simbolo niente meno che Abel Prieto, il ministro della cultura! Nemmeno una parola su Yoani Sánchez, che secondo lui non esiste, ma è un’editorialista de La Stampa e di molti periodici mondiali, al solito per merito della CIA. Minà conclude lamentandosi che nessuno lo sta a sentire, che la Rai non lo invita a parlare e non ripropone le sue trasmissioni. Ma chi vuol prendere in giro? Il suo documentario finanziato dal governo cubano per propagandare menzogne sarà proiettato al Festival di Venezia, un quotidiano come La Stampa lo intervista due volte in quindici giorni, concedendo spazi di mezza pagina… La pazienza dei veri democratici ha un limite. Spero che le associazioni dei profughi cubani organizzino un lancio di pomodori in occasione del Festival di Venezia, durante la proiezione di questo filmaccio di regime, e che non manchino il bersaglio.


Gordiano Lupi

lunedì 22 agosto 2011

Il buon pastore

di Yoani Sánchez


I vicini curiosi si affacciano ai balconi e le vedono sfilare lungo la rumorosa avenida Neptuno. Sono vestite completamente di bianco e nelle strade limitrofe si sta già preparando la turba che cercherà di impedirne il passaggio a forza di grida e spintoni. Sono quasi le quattro di sera e piove sull’Avana, con la tipica forza dei nostri acquazzoni estivi. L’acqua che scroscia fa appiccicare i vestiti al corpo delle Dame in Bianco mentre la truppa d’assalto le investe gridando insulti e alzando i pugni. I curiosi si chiudono in casa limitandosi a guardare dalle persiane socchiuse. Per oltre un’ora l’esibizione di intolleranza è al culmine e molte persone evitano di passare da quelle parti per non correre il rischio di essere aggrediti. A migliaia di chilometri da quel luogo, in un’altrettanto calda Madrid di questi giorni di agosto, il Papa Benedetto XVI sta pronunciando un messaggio di concordia e di pace.

Le autorità cubane credevano di aver sgominato quel movimento femminile che aveva reclamato per sette anni la scarcerazione dei prigionieri della Primavera Nera del 2003. I cervelloni della Sicurezza di Stato pensavano che mandando in esilio la maggior parte dei dissidenti liberati nel corso dell’ultimo anno, le Dame in Bianco avrebbero cessato di esistere. Ritenevano che facendo emigrare buona parte di queste donne, avrebbero prodotto l’effetto di cancellare la loro scomoda presenza dalle strade avanere. Per sradicare del tutto questa forma di protesta pacifica, hanno studiato anche una campagna di discredito orchestrata dai mezzi di comunicazione ufficiali e hanno minacciato di incarcerare queste donne. Il risultato non pare proprio quello desiderato dalla nostra Stasi tropicale. Questa settimana circa cinquanta Dame in Bianco hanno sfilato per la città e altrettante hanno tentato di fare la stessa cosa nella provincia di Santiago de Cuba. In entrambi i casi la risposta ufficiale è stata a base di violenza, percosse e mortificanti atti di ripudio. Il governo raulista ha mostrato così il lato peggiore del suo volto, per far passare un messaggio chiaro sia all’interno che all’esterno dell’Isola: all’opposizione non sarà permesso di conquistare la strada. L’attuale presidente non si cura tanto dello scandalo internazionale, né del rimprovero da parte degli organismi dei diritti umani, ma pare temere soprattutto che i gladioli e le camice bianche crescano di numero e che riscuotano una maggiore simpatia popolare.

In questo momento la Chiesa Cattolica cubana - e specialmente il Cardinale Jaime Ortega y Alamino - ricopre la posizione più scomoda. Un anno fa è stato proprio lui il simbolico mediatore nel processo di scarcerazione dei prigionieri politici. Anche se la sua gestione non è stata indenne da critiche, il risultato finale si è concretizzato nella liberazione dei detenuti incarcerati nel marzo del 2003 e di altri prigionieri. Il Cardinale ha prestato i suoi buoni uffici anche perché le sfilate domenicali delle Dame in Bianco non venissero interrotte con la violenza dalle tristemente celebri Brigate di Risposta Rapida. Per alcuni mesi sembrava che il governo si fosse rassegnato al fatto che queste donne gli avessero tolto un pezzo di città. Ma in realtà lavorava dietro le quinte per sgominare il movimento mandando in esilio la maggior parte delle Dame in Bianco. La polemica sul fatto se la Chiesa cubana fosse o meno d’accordo su quei viaggi che sembravano deportazioni forzate, è ancora rovente tra detrattori e sostenitori di questa millenaria istituzione. Quel che è certo è che in qualche misura il manto cardinalizio ha protetto e tutelato le Dame in Bianco, fino a quando Raúl Castro non si è reso conto che il movimento invece di indebolirsi si rafforzava.

Quando giovedì scorso, le truppe d’assalto sono tornate a colpire e a insultare con male parole queste donne, il primo nome che hanno invocato è stato quello di Jaime Ortega y Alamino. Proprio in quel momento il cardinale si trovava a Madrid, al seguito del Papa in visita a quella città. Una richiesta proveniente dall’Avana è arrivata proprio nel bel mezzo delle celebrazioni. Le Dame in Bianco chiedevano al Cardinale di intercedere per loro davanti a Benedetto XVI e supplicavano che il Papa, a sua volta, convincesse il governo cubano a far cessare la violenza. Mancano due mesi appena al suo pensionamento dal Vaticano, ma Ortega y Alamino si trova in una situazione molto difficile da risolvere. Sa che le autorità dell’Isola non allenteranno la repressione, per il timore che lo scontento sociale possa emergere in maniera irreversibile. Sa anche che i piccoli spazi che ha guadagnato la Chiesa a Cuba negli ultimi anni, potranno andare perduti se lui mostrerà un atteggiamento troppo critico nei confronti della gestione di Raúl Castro. Come Pastore di un gregge in difficoltà è tenuto a difenderlo, ma deve anche proteggere l’istituzione che rappresenta. È una situazione complessa, un conflitto difficilmente risolubile, che ha cominciato a gettare ombre sulla sua gestione. Tutto il precedente lavoro di mediazione, può essere seriamente compromesso se un anno dopo quelle trattative la repressione continua e la penalizzazione delle differenze è ancora intatta. Un gruppo di donne vestite di bianco, percosse e denigrate, ha chiesto aiuto al Cardinale di tutti i cubani. La grande domanda è se lui potrà realmente aiutarle.

Traduzione di Gordiano Lupi

sabato 20 agosto 2011

Il regime reprime lo scrittore Angel Santiesteban



Angel Santiesteban ha scritto una toccante Dichiarazione di principi sul suo blog Los hijos que nadie quiso - http://www.loshijosquenadiequiso.blogspot.com/, intotlata Noi che siamo nati senza orizzonti. Lo scrittore si ribella alla repressione che il governo cubano ha messo in atto contro la sua persona, perché è stato montato ad arte un procedimento penale che cerca di fargli pagare la sua dissidenza politica con 15 anni di reclusione, condannandolo per presunti delitti di furto, tentato omicidio e violenza carnale.

“Faccio parte di una generazione che si è vista bendare gli occhi. Ci hanno detto come dovevamo ragionare e che era bene dimenticare i sogni. Ci hanno convinto che la luce faceva diventare ciechi. Le nostre madri hanno sopportato l’ingiustizia per timore e per proteggerci, perché sapevano che il peggio doveva ancora venire”, scrive.

Angel Santiesteban in passato è stato percosso dalla polizia politica, sorvegliato notte e giorno, minacciato e intimidito. Si è visto togliere la casella di posta elettronica che gli era stata assegnata dal Ministero della Cultura. Niente è cambiato dai tempi del Caso Padilla (Fuera del juego), perché lo scrittore è stato messo ai margini della vita culturale, impedendogli di partecipare a ogni tipo di evento. Il suo blog è stato invaso da risposte di funzionari, giornalisti senza morale, scrittori e critici opportunisti, gente di scarso talento chiamata a far tacere una voce pericolosa. Infine, visto che queste intimidazioni non erano sufficienti, sono arrivate le accuse infondate per incarcerare lo scrittore sulla base di presunti gravi reati. Non solo. La Sicurezza di Stato ha tentato persino di trasformare Angel Santiesteban in un membro dei servizi segreti per avere un loro infiltrato nella fila dissidenza. Non sono riusciti a convincerlo perché il tradimento non è contemplato dai principi morali dello scrittore. Sono cominciate le pressioni psicologiche, non appena il procedimento penale ha avuto inizio, che consistevano nel rendere difficili i contatti con i familiari, soprattutto con il figlio di 12 anni.

“Non mi faranno smettere di scrivere e di parlare. Posso accusarmi di reati orribili che non ho commesso, ma userò sempre la mia libertà di espressione”, ha scritto.

“Fino al giorno in cui ne avrò la forza continuerò a esprimere i miei sentimenti con la parola scritta, con la letteratura e con il blog Los hijos que nadie quiso. Non accetterò intimidazioni, atti vandalici, processi farsa che hanno il solo scopo di distruggere la mia reputazione. Sopporterò fino in fondo e continuerò a esprimere le mie idee”, ha concluso.

La comunità culturale internazionale dovrebbe attivarsi per far luce su un pericoloso caso di limitazione dei diritti umani.

Gordiano Lupi

Il mio vaso di Pandora contro l’intolleranza


dal Twitter di Yoani Sánchez (19 – 20 agosto 2011)


Il Twitter di Yoani Sánchez è la fonte più attendibile di notizie per quel che accade a Cuba. Sappiamo dalle note digitate in fretta dalla blogger e nei limiti dei pochi caratteri consentiti che il 18 agosto Laura Pollan e le Dame in Bianco sono state aggredite da agenti della Sicurezza di Stato. Yoani è molto dura, per una volta cambia il suo stile e sfoga tutta la sua rabbia contro la repressione.

“Per fortuna ho il mio Twitter. Quando il telefono mobile è carico posso aprire il mio vaso di Pandora. Dimenticare non è positivo per i popoli, ma non lo è neppure ricordare qualcosa per sempre. Vi immaginate quando il mio curioso nipote mi domanderà: “Come si chiamavano, nonna? Fastro, Gastro, Tastro?”. E io risponderò sollevata: “No ragazzo, si chiamavano Castro”. Penso proprio che riuscirò a sopravvivere a questi dinosauri, ma se non ce la farò io toccherà ai miei nipoti. Nessuno mi porterà via definitivamente da Cuba, perché questo è anche il mio paese, anche se chi comanda non gradisce questa cosa. Voglio restare qui per vedere il cambiamento, per assistere alla fine del loro potere. Verrà il giorno in cui potremo indignarci pubblicamente contro il solo Partito consentito, contro il Presidente eletto per via ereditaria? Come sarebbe Cuba senza atti di ripudio, senza penalizzazione del dissenso, senza polizia politica? Un sogno! Un giorno avremo qualcosa di simile? Sono ossessionata dal futuro, soltanto ciò che potranno ottenere i cubani del 2025 mi mantiene viva”.

Yoani tratta l’argomento repressione nei confronti delle Dame in Bianco che sfilavano pacificamente per calle Neptuno.

“Una truppa organizzata si è scagliata contro le Dame in Bianco che sfilavano pacificamente. Gridavano parole volgari, attacchi razzisti, oscenità. Non bastano più le parole d’ordine rivoluzionarie? Laura Pollan, che guida le Dame in Bianco, ha chiesto al cardinal Jaime Ortega di intercedere presso il Papa e presso il governo cubano per far cessare la violenza. Si è trattato di un vero e proprio festino dell’intolleranza in calle Neptuno, contro le Dame in Bianco, che hanno riportato danni fisici e morali dopo un meeting di ripudio organizzato in grande stile dalla Sicurezza di Stato. La mia unica arma per denunciare gli abusi del governo è Twitter. La repressione cresce, l’intolleranza è la stessa di sempre… fino a quando?”.

La speranza di Yoani non è in un’altra Rivoluzione, ma in una Cuba diversa, tollerante e pluralista.

“Amici, spero che il cambiamento a Cuba non sia prodotto da un’altra Rivoluzione, perché ne abbiamo abbastanza di questa e non ne vogliamo altre”.

Yoani attacca frontalmente repressori e governo. La stampa ufficiale e la televisione cubana parla sempre di dissidenza pagata dall’Impero, di controrivoluzionari al soldo della CIA… Yoani capovolge la domanda e si chiede chi finanzi la repressione.

“Chi paga le merende alle turbe che ieri hanno aggredito le Dame in Bianco? E i mezzi di trasporto per raggiungere il posto della repressione? E chi paga gli alti costi del programma più conformista delle televisione cubana, la Mesa Redonda? Chi finanzia il Granma? Non vorranno farci credere che si sostenta con la quota dei militanti del Partito Comunista Cubano? Non siamo così ingenui. Quanto pagano chi controlla il mio telefono e ascolta le mie comunicazioni? E quanto pagano chi controlla gli altri dissidenti? Le asfittiche casse nazionali. Un giorno qualcuno ci dirà quanta parte del nostro denaro viene usata per la repressione. Questa non è una Rivoluzione, ma il governo di un’oligarchia, di persone che indossano un’uniforme verde oliva, l’autocrazia di un clan. Raúl Castro, non credo in te! Hai ereditato una nazione come se fosse un feudo, ma questo non è un villaggio medievale!”.

Gordiano Lupi

venerdì 19 agosto 2011

mercoledì 17 agosto 2011

Pubblicato a Cuba un libro su Cabrera Infante



Dopo decenni di censura esce un saggio che racconta solo gli anni in cui lo scrittore visse a Cuba e le opere scritte nel periodo in cui sostenne il castrismo

L’Unione degli Scrittori e Artisti di Cuba (UNEAC) presenterà un saggio sull’opera e la vita di culturale di Guillermo Cabrera Infante durante gli anni che ha vissuto sull’Isola, dove l’autore ha subito decenni di totale censura editoriale.

Il libro si intitola Sui passi del cronista: l’opera intellettuale di Guillermo Cabrera Infante a Cuba fino al 1965, edito dalle Ediciones Unión, della UNEAC. La presentazione avrà luogo domani, 18 de agosto, presso la sede dell’istituzione governativa.

Gli autori, Elizabeth Mirabal e Carlos Velazco, hanno vinto per questo testo il premio per la Saggistica della UNEAC nel 2009, lo stesso anno in cui si sono laureati in Giornalismo presso l’Università del’Avana realizzando uno studio più ampio sull’opera di Cabrera Infante.

Velazco, 25 anni, ha detto che la pubblicazione del libro è “un buon segnale di cambiamento” e che “dobbiamo essere contenti perché si comincia a colmare una lacuna sui testi dell’autore di Tre tristi tigri”. “Non si tratta di un’assenza di poco conto, perché Cabrera Infante è uno degli autori fondamentali in lingua spagnola, uno dei principali scrittori di questo paese, che continua a rappresentare un mistero”, ha aggiunto il saggista.

In questi ultimi tempi a Cuba è stata pubblicata qualche bibliografia di Cabrera Infante, ma un libro intero a lui dedicato non è mai uscito. “Il nostro è un libro sincero che vuol aprire un dibattito sulle diverse posizioni in merito all’opera di Cabrera Infante e al suo rapporto con la rivoluzione cubana”, ha concluso.

Il libro ricorda i movimenti culturali, raccoglie testi giornalistici e interviste a persone che conobbero lo scrittore a Cuba e all’estero.

Guillermo Cabrera Infante (1929-2005), uno dei migliori autori latinoamericani, Premio Cervantes 1997, collaborò inizialmente con la rivoluzione, ma nel 1965 ruppe con il regime e si esiliò prima a Madrid e subito dopo a Londra. La notizia della sua morte a Londra venne data soltanto da una rivista culturale cubana, senza nessun tipo di rilievo, mettendo in evidenza “l’ossessione fanatica dello scrittore contro la rivoluzione, che costrinse il governo a proibire la pubblicazione della sua opera”.

L’ultimo libro di Cabrera Infante edito a Cuba è stato Un oficio del siglo XX (1963), raccolta di critiche cinematografiche pubblicate su riviste culturali. La bibliografia di Cabrera Infante, che pubblichiamo in calce, basta a dimostrare che non è possibile pubblicare un saggio sullo scrittore che i fermi al 1965 senza darne una visione parziale e incompleta.

Gordiano Lupi


Bibliografia e Filmografia essenziale

Guillermo Cabrera Infante (Gibara - Cuba - 22 aprile 1929 - Londra, 21 febbraio 2005) - Premio Miguel de Cervantes (1997)

Opere

Così in pace come in guerra (Asì en la paz como en la guerra) (1960) Mondadori, 1963

Tre tristi tigri (Tres tristes tigres) (1967) Il saggiatore, 1976

Vista del amanecer en el trópico (1974)

O (1975)

Exorcismos de esti(l)o (1976)

L’Avana per un infante defunto (La Habana para un infante difunto) (1979) Garzanti, 1993

Puro humo (1985)

Mea Cuba (1992) Il saggiatore, 1997

Delito por bailar el chachachá (1995)

Mi música extremada (1996)

Ella cantaba boleros (1996)

Vidas para leerlas (1997)

Il libro delle città (El libro de las ciudades) (1999) Il saggiatore, 2001

Todo está hecho con espejos (1999)

La ninfa inconstante (2008)

Cuerpos divinos (2010)


Recensioni cinematografiche

Un oficio del siglo XX (1963)

Arcadia todas las noches (1978)

Cine o sardina (1997)


Sceneggiature cinematografiche

Wonderwall, regia di Joe Massot (1968)

Punto zero (Vanishing Point), regia di Richard C. Sarafian (1971)

The Lost City, regia di Andy Garcia (2005)

Ancora non so se canterai …

di Yoani Sanchez


Temo molto che mi rispondano mai.
Pablo Milanés

L’ultima volta che sono stata a un concerto di Pablo Milanés non ho potuto canticchiare neppure una delle sue canzoni. Nel bel mezzo alla tribuna antimperialista, diversi amici esposero uno striscione con il nome di Gorki per chiederne la scarcerazione - nell’agosto 2008 - del musicista punk rock processato per “pericolosità sociale preventiva”. Il lenzuolo dipinto rimase in aria solo pochi secondi prima che una moltitudine di agenti ben allenati ci piombasse addosso. Il giorno dopo mi faceva male tutto il corpo e provavo un particolare fastidio nei confronti dell’autore di Yolanda, perché lo consideravo un testimone passivo dell’accaduto. Ma mi sbagliavo. Dopo, ho saputo che grazie alla sua mediazione quella notte non abbiamo dormito in cella e che aveva interceduto anche per la liberazione di Gorki.

Il prossimo 27 agosto, Pablo Milanés ha in programma un concerto nella città di Miami. L’evento ha scatenato l’irritazione tra coloro che lo considerano un “giullare del castrismo”. Ma neppure i critici più severi devono dimenticare che la sua stessa vita è stata - come quella di molti cubani - segnata dall’intolleranza: la reclusione nelle UMAP; le incomprensioni quando la Nuova Trova muoveva i primi passi e la chiusura della fondazione che portava il suo nome. Inoltre i detrattori devono riconoscere che Pablo Milanés ha avuto il coraggio di non firmare quella lettera in cui numerosi intellettuali e artisti sostenevano le misure repressive prese dal governo dell’Isola nel 2003, come la fucilazione di tre giovani che avevano sequestrato un’imbarcazione per emigrare.

Pablo, il grasso Pablo, che negli anni Ottanta si poteva ascoltare su ogni frequenza dove sintonizzavamo la radio, è cambiato come molti di noi. Il suo dissenso dalla politica ufficiale si è fatto sentire da diversi anni, così come non si vede più il suo volto nelle attività - profondamente politicizzate - con cui le autorità cercano di dimostrare che “gli artisti sono al fianco della Rivoluzione”. Ritengo che gli piacerebbe condividere la scena all’Avana con le voci esiliate che non possono presentarsi nel loro paese. Il trovatore che si propone di cantare per alcuni giorni in Florida è un uomo cresciuto e maturato da un punto di vista civico e artistico, consapevole della necessità che le due sponde della nostra nazione debbano di nuovo incontrarsi. Per questo motivo, accogliere con grida e insulti Pablo Milanés potrà servire soltanto a ritardare il necessario abbraccio tra i cubani che vivono sull’isola e coloro che si trovano all’altro lato del mare… ma in ogni caso non riuscirà a impedirlo.


Traduzione di Gordiano Lupi

Carlos Alberto Montaner

Nota del traduttore

La notizia, che da alcuni giorni i giornali di Miami stanno dando con grande risalto, è che alcuni gruppi intolleranti di esiliati cubani vorrebbero impedire il concerto di Pablo Milanes in Florida. Yoani prende posizione a favore della comprensione reciproca e della distensione. Carlos Alberto Montaner - importante scrittore cubano che sta per uscire in Italia per i tipi di Anordest Edizioni con il romanzo La moglie del colonnello - è su posizioni simili: “Noi che vogliamo la fine della dittatura cubana e la nascita di un regime pluralista e democratico a Cuba, rispettoso dei diritti umani, commetteremmo un errore strategico se non tendessimo la mano a Pablo Milanés. Vogliamo una Cuba dove ognuno possa avere il suo spazio e che rispetti tutti, indipendentemente dalle differenze che ci dividono. La dittatura dei Castro in realtà desidera che il concerto venga proibito o che ci siano forti manifestazioni di opposizione, per far passare il messaggio che non è possibile alcuna riforma politica, né l’ampliamento dei margini di partecipazione della società cubana, né la tolleranza e l’accettazione di chi si oppone al regime comunista, perché non è possibile alcun tipo di accordo. Non scordiamoci una paradossale premessa: ciò che sconcerta i dittatori non è la violenza ma la concordia”.

La mujer del coronel/ La moglie del colonnello, ultimo romanzo di Montaner, presto in Italia
 (tradotto da Ilaria Gesi) per Anordest Edizioni

martedì 16 agosto 2011

Da Cuba non si esce...

Omar Santana, su El Nuevo Herald, vede così l'isola - prigione che per la 17a volta ha negato il permesso di uscita a Yoani Sanchez. La libertà di movimento a Cuba è pura utopia.

Cuba va verso il capitalismo?


Una giornalista del The Wall Street Journal analizza la profondità delle riforme avviate da Raúl Castro


La giornalista del The Wall Street Journal Mary Anastasia O’Grady commenta le recenti riforme cubane e afferma che non rappresenterebbero un’evoluzione verso il sistema capitalista.

“Per i Castro il potere economico si traduce in potere politico. In passato quando i privati hanno cominciato ad accumulare ricchezza, sono sempre stati decisi consistenti aumenti di imposte tali da rendere insostenibile il lavoro por cuenta propria”, scrive O’Grady. “Per quel che riguarda l’annunciata legalizzazione della vendita delle abitazioni, il nuovo mercato immobiliare vedrà lo Stato in primo piano per ritagliarsi una fetta di guadagno e migliorare le sue finanze”, aggiunge.

“Saranno licenziati mezzo milione di lavoratori pubblici. Sono state concesse 171.000 licenze di lavoro privato a persone già disoccupate, ma le alte imposte rendono difficile la contrattazione salariale da parte dei negozi privati”, riferisce la giornalista.

Conclude Mary Anastasia O’ Grady: “Una liberalizzazione dei prezzi, veri e propri diritti di proprietà e incentivi all’innovazione vorrebbero dire un reale cambiamento a Cuba, ma metterebbero a rischio il controllo del regime sulla vita economica e politica. Secondo l’analista statunitense il governo cubano agisce solo per conservare il potere e per garantire la sua sopravvivenza, non certo per liberalizzare l’economia. Allo stato attuale pare una posizione condivisibile.


Gordiano Lupi

domenica 14 agosto 2011

Un libro da evitare


Reinhard Kleist
Habana – Un viaggio a Cuba
Black Velvet – Euro 15,00

Quando un libro è brutto va scritto a chiare lettere, senza stare a fare tanti giri di parole. Quando è inutile va ribadito con forza. Quando è dannoso va sottolineato con la penna rossa.

Habana - Un viaggio a Cuba di Reinhard Kleist è brutto, inutile e dannoso. Lo scrivo con soddisfazione, anche perché questo libro me lo sono comprato, spendendo ben 15 euro che potevo impiegare meglio, non me l’ha spedito l’Ufficio Stampa della Black Velvet. La casa editrice lo definisce così: “Diario di un soggiorno di quattro mesi a Cuba che racconta le contraddizioni di un paese attraverso le parole, i disegni, il fumetto. Un’appassionante immersione nella cultura di una città e di un’isola amate e odiate insieme, e che non hanno eguali al mondo”. Io lo definirei un libro che racconta di Cuba solo le cose ovvie, da tutti conosciute, una fiera del luogo comune a base di rivoluzione, sanità, istruzione, odioso embargo nordamericano e paternalismo castrista. L’autore si guarda bene dal prendere posizione, non dice una parola sulla dilagante prostituzione, non cita la totale assenza di libertà di movimento, non accenna alle ripetute violazioni dei diritti umani, alla mancanza di libertà, alla situazione economica della popolazione che vive solo grazie alle rimesse degli emigrati. Alcune parti sono risibili, come quando l’autore tenta di far credere che a Viñales e a Pinar del Rio si conduca un’esistenza ottima. Non solo, secondo lui ci sarebbero molti turisti (chi si ferma più di un giorno in aperta campagna lontano dal mare?) e gli abitanti non sognerebbero la fuga per il troppo amore che li lega alla loro terra. Altrettanto risibile l’immagine di Fidel Castro che ammonisce l’autore a non giudicare la realtà cubana con le categorie da europeo, perché siamo in America Latina e ogni popolo ha le sue caratteristiche. Peggio ancora quando Kleist vorrebbe far passare il messaggio che le vere persone non libere siamo noi che viviamo nel consumismo, tra pubblicità, giornali di padroni e grandi catene di ristorazione. Tutto vero, nessuno ha mai detto il contrario. Il capitalismo ha i suoi mali e non sono pochi. Ma Kleist era partito per raccontare Cuba e non l’ha fatto. Il suo diario di viaggio è scritto soltanto per piacere al potere, per non dare fastidio al regime. Un libro che non è pericoloso è un libro inutile, come ha detto qualcuno più famoso di me. Questo è un libro inutile, da evitare, da sconsigliare, da non comprare. A meno che non siate amanti delle dittature. In questo caso è il libro che fa per voi. Unica nota positiva: Reinhard Kleist è un artista, un grande disegnatore di fumetti. Perché impiega così male le sue doti?


Gordiano Lupi

A Cuba aumenta l’offerta di sesso a pagamento

Sono queste le nuove professioni di Raúl?


In una casa dall’ampio porticato, nel municipio Diez de Octubre, funziona senza sosta un modesto bordello. Diverse ragazze, di un’età compresa tra i 16 e i 19 anni, si vendono per 6 dollari. Esercita funzioni di maîtresse un’ex jinetera di grande esperienza. Si chiama Lucrecia, ha 51 anni, fa parte di quel gruppo di prostitute, figlie della rivoluzione, più attratte dai dollari, moneta illegale fino al 1993, che dal radioso futuro comunista promesso da Fidel Castro.

“Ho aperto l’attività da un paio di mesi. Ha avuto un gran successo. Ricevo dai 20 ai 30 clienti al giorno. Voglio inserire un piccolo bar. Vendere birra e bevande. Se tutto va bene penso di poter servire presto anche pranzi e spuntini”, dice Lucrecia, padrona del puticlub, come è stato subito ribattezzato il locale dalla gente del quartiere.

Va da sé che questi bordelli sono illegali. Ma da un po’ di tempo a questa parte la prostituzione ha ripreso nuova forza, soprattutto all’Avana. Abbiamo diversi segmenti e tariffe. In prima fila troviamo le jineteras di lusso, belle come modelle internazionali. Prendono 100 dollari a notte, vanno a letto solo con gli stranieri e mettono annunci su web. Segue un esercito di jineteras che frequentano luoghi turistici, spiagge e discoteche dove europei e canadesi ballano salsa e reguetón. Non costano più di 40 dollari.

Il mercato cubano del sesso è ormai saturo. Le jineteras dell’Avana si adeguano alla legge della domanda e dell’offerta. L’arrivo di quasi novecentomila cubano americani nel corso dell’ultimo anno, ha provocato l’aumento di prostitute “a basso costo”.

Liana si è specializzata in cubani residenti negli Stati Uniti.

“Sono i migliori clienti, quasi sempre si portano a rimorchio mezza dozzina di parenti con tanta voglia di fare baldoria. Pagano bene e sono splendidi. Non voglio saperne degli europei. Per la crisi, non sono molto generosi. Il solo vantaggio di andare a letto con un europeo è che puoi fingere di innamorarti e se hai fortuna ti porta via dal paese. I cubani di Miami vengono a far festa, sono vecchi puttanieri. Non è facile raccontar balle a gente simile”.

Per soddisfare la domanda di clienti nazionali, nella capitale - e pure in alcune città dell’interno - sono nati bordelli e case di appuntamenti che ofrono compagnia, bibite e letti in stanze confortevoli. Questo è il caso del puticlub di Diez de Octubre, che di notte si riempie di giovani e di persone mature. Tra ragazze e musica discreta, i clienti si divertono molto. Quando sono a corto di denaro, i puttanieri e i loro amici si dirigono in moto o in auto nella zona dell’Autostrada Nazionale, dove moltissime ragazze orientali si prostituiscono per 50 o 60 pesos (due o tre dollari). Fanno l’amore nei sedili delle auto o sopra qualche cartone sistemato in fretta e furia in una piantagione di banane. Sotto le stelle. Salvo eccezioni, queste jineteras sono quasi sempre grasse, le loro carni sono flaccide e piene di cellulite. Le chiamano matadoras de jugadas (da una botta e via) e rappresentano il livello più basso nel settore del sesso a pagamento.

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

Fonte: Diario de Cuba

Altre foto del matrimonio tra Wendy e Ignacio


Fonte: DIARIO DE CUBA

Pablo Milanes contestato a Miami

Jardim su El Nuevo Herald stigmatizza con ironia le contestazioni ricevute da Pablo Milanés da parte della comunità cubana di Miami. Il cantautore ha detto che a Cuba mancano libertà e diritti umani, ma i suoi compaesani in esilio non gli perdonano anni di connivenza con il regime castrista.

Fidel Castro è un vero padre della patria!

Silvio Rodriguez scrive: "Fidel Castro è un vero padre della patria!".
Ecco come lo vede il vignettista cubano Lauzan... un padre severo!

Il matrimonio della speranza


di Yoani Sánchez


Wendy, la sposa di oggi, si è vestita nella sala di casa nostra, si è fatta pettinare, si è sottoposta al trucco, si è fatta scattare le prime foto e infine è partita con noi alla volta del Palazzo dei Matrimoni. Il cielo era nuvoloso, minacciava pioggia sulla capitale, ma sarebbe stato comunque un buon augurio per gli sposi. Io ero in auto con Ignacio, Reinaldo accompagnava Wendy e Orlando Luis Pardo Lazo aveva il ruolo di fotografo ufficiale del matrimonio. Siamo passati sotto la casa di José Lezama Lima per rendere omaggio al famoso capitolo otto di Paradiso, capolavoro della letteratura cubana inviso al castrismo per i riferimenti omosessuali. Piazza della Rivoluzione era completamente bloccata da un grande spiegamento di polizia, non hanno fatto passare i futuri sposi. Al Palazzo dei Matrimoni ci attendevano molti fotografi, tanti curiosi e parecchi amici. Ci siamo resi conto che una grande attenzione mediatica circondava gli sposi. Io e Reinaldo abbiamo firmato come testimoni, gli sposi hanno firmato il registro, si sono baciati e sono passati nella zona del brindisi. La notaia del matrimonio era Yolanda Maria Morejon Diaz, pure lei resterà nella storia. Ricordate la canzone Oggi mi rendo conto del mio passato… del passato della mia vita? Ecco, io ho fatto la stessa cosa con Fidel Castro. Sto già vivendo l’era post Castro, al punto che non mi sono resa neppure conto che oggi era il compleanno di Fidel. Adesso lo chiamano El dia de la fidelidad (Il giorno della fedeltà), ma la fedeltà riguarda la vita di coppia, il rapporto tra marito e moglie, non ha niente a che vedere con la politica. Non dobbiamo restare fedeli a un uomo politico, ma vigilare sul suo operato, criticarlo, discuterlo. Proprio nel giorno del suo compleanno, che rappresenta per molti cubani l’esclusione e la segregazione per motivi politici e di opinione, un piccolo raggio di pluralismo si è aperto la strada nel nuvoloso cielo cubano. È stata la decisione di Wendy e Ignacio a far filtrare la luce, superando gli ostacoli dei pregiudizi e di una legislazione antiquata. A me è toccato solo il compito di accompagnarli e di renderli onore per il coraggio dimostrato. Siamo molto felici per quanto accaduto è oggi. Si tratta di un grande passo in una piccola Cuba.

L’Avana, 13 agosto 2011
Traduzione di Gordiano Lupi

Le foto del primo matrimonio gay a Cuba

Cortesia di Yoani Sanchez e Orlando Luis Pardo Lazo

Si prepara un giorno di festa


La sposa al maquillage


Ancora trucco


La sposa si fa bella


Il trucco



Il vestito da sposa


Acconciatura


Lo sposo vestito di bianco


La partecipazione


Orlando Luis Pardo Lazo (il fotografo ufficiale)


Yoani Sanchez e Ignacio verso il Palazzo dei Matrimoni



L'arrivo al Palazzo dei Matrimoni


L'arrivo di Wendy


Attenzione mediatica


La folla al matrimonio


I fotografi


Lo sposo in attesa


Ignacio firma


Reinaldo Escobar testimone dello sposo


La sposa firma


Il bacio




Viva gli sposi!
Le prime nozze gay a Cuba sono state celebrate...