giovedì 7 aprile 2011

Yoani Sánchez e il futuro di Cuba

Un giorno come gli altri all’Avana. Fariñas è di nuovo detenuto, la blogosfera indipendente fa una vita difficile, Alan Gross finisce in galera solo per aver portato a Cuba telefoni satellitari, Jimmy Carter apre a illusioni di cambiamenti, ma in definitiva nell’isola dei fratelli Castro tutto procede come prima, senza grandi novità. Sentiamo cosa ne pensa Yoani Sánchez, osservatrice privilegiata della realtà cubana.

Sta per celebrarsi il VI Congresso del Partito Comunista Cubano. A tuo parere è un evento importante che contribuirà a modificare la situazione socio-politica?

Questo VI Congresso del Partito Comunista Cubano nasce viziato da un irredimibile peccato originale: è un appuntamento di partito che si tiene in un paese dove è stata proibita l’esistenza di altri partiti, è un conclave di un’organizzazione che non permette la libera esistenza di altre. Partendo da questo assunto, ci sono poche speranze che l’evento programmato al Palazzo delle Convenzioni dell’Avana a partire dal 16 aprile, possa portare le soluzioni definitive, molteplici e immediate che servono al paese. Il sistema cubano non è riformabile, perché si basa su proibizioni, limitazioni e censure. Cercare di aprirlo e perfezionarlo provocherà prima o soltanto dopo la sua fine. Mi piace paragonare il sistema imperante nel paese con una di quelle case semidistrutte che tanto abbondano in questa città. Chiunque veda lo stato calamitoso in cui versa la struttura della casa, il degrado dei suoi balconi e la ruggine che abbonda nelle sue travi, penserà che sia sul punto di cadere a pezzi. Nonostante tutto, la casa ha sopportato decine di uragani e tempeste tropicali, ma un giorno qualcuno decide di cambiare la serratura di una porta o di riparare una tubazione del bagno e subito dopo l’intero edificio crolla. Qual è la “serratura” nella situazione cubana? Non lo so, ma presumo che nel prossimo congresso verranno prese decisioni in merito a piccoli dettagli che renderanno più rapida la rovina. Raúl Castro lo sa bene e per questo teme il momento in cui dovrà ampliare le riforme.

Hai incontrato Jimmy Carter all’Avana, insieme ad altri blogger, giornalisti indipendenti e rappresentati della società civile. Che impressione ti ha fatto l’ex Capo di Stato nordamericano?

Jimmy Carter ci ha fatto visita la settimana scorsa e ha incontrato non solo membri del governo, ma anche diverse voci della società civile cubana in formazione, le Dame in Bianco e alcuni ex prigionieri politici. Ho avuto la soddisfazione personale di essere inclusa tra coloro che sono stati ammessi a conversare direttamente con lui. È stato un incontro breve, durante il quale lo abbiamo messo al corrente delle nostre inquietudini e dei problemi, ma anche dei nostri progetti presenti e futuri. Lui ascoltava e faceva domande. Sembrava conoscere le nostre difficoltà e la sua richiesta di discrezione sugli argomenti affrontati in quella mattina di marzo, era diretta più a proteggere noi che a salvaguardare se stesso. Subito dopo Carter ha parlato ai microfoni del canale televisivo più importante del nostro paese e ha fatto presente che a Cuba serve libertà di espressione, di associazione e di viaggio, affinché i cubani possano muoversi senza problemi all’interno e all’esterno del territorio nazionale. Ha fatto anche alcuni elogi al governo raulista, ma sembravano più formalità diplomatiche che veri punti di consenso. La grande domanda che si pongono tutti è se la sua presenza fugace nella nostra complessa situazione nazionale modificherà in parte il corso dei prossimi mesi. Non dobbiamo credere che passeremo dal totalitarismo alla democrazia solo perché un ex presidente nordamericano ci ha fatto visita, ma alcune azioni rivestono una carica simbolica che va ben oltre i propositi. Jimmy Carter ha ottenuto che almeno per tre giorni il regime cubano mostrasse un volto tollerante sia all’interno che all’esterno dell’isola. Sotto il suo mantello protettore è stato possibile che in un hotel del centro storico dell’Avana si riunissero oppositori e individui che - appena pochi giorni prima - erano stati demonizzati nel corso di un programma realizzato dal Ministero degli Interni, trasmesso dalla televisione ufficiale. È stata la prova che è possibile creare una sfera di rispetto e che le truppe d’assalto contro le attività della dissidenza non sono spontanee e tanto meno autonome. Evidentemente Raúl Castro ha dato ordine di non interferire nel dialogo tra un Nobel per la Pace e i rappresentanti della parte più sofferente della Cuba attuale. Permettendo l’incontro, le autorità - senza volerlo - hanno riconosciuto e convalidato le voci presenti.

Come credi che sarà la Cuba del futuro, quando l’attuale gerontocrazia dovrà fisiologicamente abbandonare il potere?

Vengono tempi difficili, soprattutto perché l’ostinazione di chi ci governa non ha permesso di compiere riforme graduali e ha ostacolato i cambiamenti di cui il nostro paese ha bisogno. Quando il tempo biologico di ognuno di loro finirà, molte persone sentiranno un vuoto politico e persino ideologico, ma credo che la maggioranza dei cubani proverà una sensazione di sollievo. Ci toccherà ricostruire il paese con nuovi volti, nuove idee, nuove formule. Confido che la nostra Isola, caratterizzata dalla creatività e dal talento dei suoi figli, dalla bellezza della sua natura e dalla franchezza della sua idiosincrasia, possa trovare una strada che preveda opportunità per tutti. Vivremo senza dubbio in un paese più aperto e pluralista, dove spero che i miei nipoti non siano costretti a emigrare per realizzare i loro sogni.

Intanto il Granma parla di cyberguerra e di mercenari al servizio dell’impero, usando la solita terminologia fuori dalla storia. Per i media governativi Yoani Sánchez, gli altri giovani blogger, le Dame in Bianco e i dissidenti sarebbero soltanto terroristi pagati per minare dalle fondamenta un sistema basato sul consenso spontaneo. Bastano le parole di Yoani - se lette con la dovuta apertura mentale - a smentire le illazioni del potere. Yoani rappresenta una generazione che vuole vivere in una Cuba moderna, pluralista e soprattutto libera.



Gordiano Lupi

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