giovedì 3 febbraio 2011

Desideri di una stella cadente



Desideri su una stella cadente, in italiano suona più o meno così questo ritratto veritiero della Cuba contemporanea che tre documentaristi italiani hanno realizzato sul campo. La Rivoluzione Cubana ha cinquant’anni e li dimostra tutti, anche se il regime si sforza di realizzare lavori di maquillage nel centro storico per consentire visite senza troppi problemi a gruppi di turisti. Eusebio Leal, la mano destra di Castro, è il sindaco dell’Avana, colui che è deputato a occuparsi di ricostruire il lungomare, i palazzi storici, il Boulevard, la parte centrale della città, dichiarata dal 1982 patrimonio dell’umanità. I tre autori del documentario viaggiano lungo le strade del turismo, inquadrano lungomare e ballerine, mettono un sottofondo musicale a base di son e salsa, ma non si fermano alle apparenze. “Solo il 25 per cento dei proventi che provengono dal turismo viene investito per restaurare il resto della città”, dice un cubano. Cuba viene analizzata in tutta la sua realtà antistorica, si affronta il problema della doppia circolazione monetaria, del peso cubano con cui vengono pagati gli stipendi (che non vale niente) e del peso convertibile (moneta turistica), si racconta come un cubano non possa avvicinarsi ai negozi non sovvenzionati dallo Stato. Gli stipendi vanno dai 15 ai 30 dollari, che non sono sufficienti neppure a sopravvivere per un mese cibandosi degli alimenti forniti con il razionamento alimentare. Le immagini che scorrono sul video sono sconcertanti per chi è abituato alla buona novella recitata da Granma e Juventud Rebelde e dai propagandisti della fame, che anche nel nostro paese sono in buon numero.

A Santa Clara la macchina da presa riprende la polizia mentre picchia di santa ragione una donna che sta gridando in piazza. Uno dei cineasti viene arrestato e la sua macchina fotografica digitale viene azzerata perché non si possono riprendere i poliziotti al lavoro. Il documento video resta, però, perché nessuno si rende conto della telecamera nascosta. A questo punto entra in scena Yoani Sánchez - intervistata dai tre autori - che con le sue parole è il filo conduttore della pellicola. “Vivo come in un thriller, ogni cittadino cubano è schedato, ma a mio nome c’è un intero archivio. Vivo nella paranoia che mi hanno inculcato”, dice la nota blogger. I cineasti italiani filmano proprio la paranoia, cercano di dimostrare che l’embargo non è il solo colpevole di una situazione divenuta insostenibile. Uno sguardo ai libri in vendita: Rivoluzione, Fidel Castro, José Martí eroe della patria, poco altro, a parte qualche romanzo cubani stampato su carta pessima. Cuba è uno dei paesi più alfabetizzati dell’America Latina, ma da leggere c’è poco, per non parlare della stampa che prevede solo due giornali di regime. La situazione di Internet è drammatica: il costo è di sei pesos convertibili l’ora, se si riesce ad avere il permesso per stipulare un contratto privato bisogna pagare 100 dollari subito e 15 dollari al mese per avere il collegamento. Un’enormità visti gli stipendi cubani. Inoltre la connessione è molto lenta e parecchi siti sono oscurati. Molti cubani approfittano della connessione nei centri di lavoro, ma non è facile.

“Per noi blogger non resta che la strada del mercato nero in qualche casa privata che dispone di connessione, oppure dobbiamo andare negli alberghi, ma il costo è molto alto. L’embargo non c’entra niente con questa situazione, perché gli Stati Uniti da quando è stato eletto Presidente Obama hanno offerto un accordo commerciale relativo a Internet. Adesso la palla è passata al governo cubano che non risponde”, aggiunge Yoani.

I tre autori raccontano il mondo della prostituzione e la caccia alle streghe che pratica il regime. Una ragazza sorpresa in compagnia di uno straniero (pure solo a parlare) viene fermata e schedata nei registri della polizia. Se viene fermata una seconda volta è arrestata come prostituta e spedita in prigione. Il film descrive l’ambiente dell’Avana Vecchia in compagnia di una sorta di giovane magnaccia cubano che promette ai tre italiani di trovare le donne che preferiscono.

E allora che cosa resta dopo cinquant’anni del mito rivoluzionario?

La sanità gratuita, l’istruzione per tutti, la miseria nera scongiurata, le campagne dove tutto sommato si vive in maniera sopportabile…

I documentaristi avvicinano un vecchio rivoluzionario che mostra con orgoglio le medaglie conquistate sulla Sierra Maestra e anche una signora di Santa Clara che ha visto entrare l’esercito rivoluzionario nel 1959 e ha assistito alla battaglia decisiva. Non c’è astio e rancore nei discorsi delle persone, ma si sente che si vorrebbe respirare un’aria nuova, soprattutto riuscire a fare una vita migliore.

“L’eccesso di propaganda politica ha trasformato i giovani in apatici. Vogliono solo andarsene da Cuba. Vogliono vestirsi bene, possedere denaro, elettrodomestici, oggetti di lusso. La Rivoluzione per loro rappresenta la retorica, l’immobilismo, il passato. E allora scelgono l’individualismo, il tornaconto personale, il desiderio di cambiare le proprie condizioni di vita”, dice Yoani Sánchez.

Il documentario riprende ragazzini seminudi che si gettano in un fiume dall’alto di un ponte. Un divertimento naturale, anche se pericoloso. Un bimbo gonfia un preservativo come se fosse un palloncino. Pare di essere nelle campagne italiane negli anni Cinquanta.

Un cubano chiede all’intervistatore di sposare una sua amica per farla espatriare e poter portare via la bambina. Lui ha già tentato di scappare con una zattera fatta in casa, ma la polizia l’ha preso in tempo.

“La maggior parte della gente pensa che l’unica soluzione sia andarsene. Questo paese sembra che non sia più nostro e che non valga la pena lottare per cambiarlo”, dice la Sánchez.

I prezzi dei generi alimentari e dei vestiti sono molto alti, sproporzionati rispetto al resto dell’America Latina, ma il tenore di vita è livellato sulle possibilità di un turista, non certo di un cubano. Tutti hanno un parente all’estero, per fortuna, che risolve qualche problema.

I cineasti entrano in un negozio illegale all’interno di una casa popolare, comprano sigari di contrabbando, magliette recuperate chissà dove, rum contraffatto. I cambiamenti promessi da Raúl Castro sono un miraggio.

“Raúl fa discorsi più corti, questa è la vera sostanza del cambiamento. Adesso si potrebbero comprare elettrodomestici, computer, congelatori ed è lecito entrare in un albergo, ma con gli stipendi che abbiamo è impossibile”, commenta la Sánchez.

A Varadero si vedono diversi cubani, ma sono persone invitate da stranieri, spesso parenti di ritorno sul’isola per un breve periodo di vacanza. Militari, poliziotti, dirigenti del partito sono classi privilegiate, che vivono nel quartiere elegante di Miramar e fanno vacanze al mare. Affittare stanze ai turisti è l’impresa più diffusa, ma il governo vigila perché nessuno si arricchisca. Le tasse sono molto alte e devono essere pagate sempre, anche se non ci sono turisti.

“A Cuba, Obama è più popolare di Raúl. Prima di tutto è giovane. Poi è mulatto. A Cuba non abbiamo mai avuto un presidente di colore e i nostri governanti sono tutti anziani. Attendiamo da Obama il cambiamento per la nostra terra e tutto ciò mi sembra molto grave. Vuol dire che non abbiamo speranze per il nostro futuro”, dice la Sánchez.

I cineasti filmano le code davanti a Coppelia per comprare un gelato, le auto d’epoca che compongono il parco circolante cubano, le cose che mancano per colpa dell’embargo. La benzina costa un dollaro al litro e con un litro si percorrono appena cinque chilometri, vista la vetustà delle auto. Non è facile. Al tempo stesso il documentario mostra che molte società europee lavorano in accordo con il governo cubano. Vengono costruiti alberghi e case usufruendo di manodopera locale a basso costo. Addirittura la Nestlè produce il gelato cubano!

L’energia manca e i black-out sono frequenti, al punto che durante l’estate si preferiscono chiudere fabbriche poco importanti e concedere un lungo periodo di ferie ai lavoratori. I condizionatori russi sono stati sostituiti da quelli cinesi che inquinano e consumano meno.

L’intervistatore avvicina una ragazza che pensa solo al modo per fuggire da Cuba: sposata con uno straniero, grazie a un invito, l’importante è scappare.

“Nelle famiglie cubane si favorisce la conoscenza con uno straniero, le figlie femmine vengono educate alla conquista del turista per migliorare la condizione sociale dell’intera famiglia”, aggiunge la Sánchez.

Il documentario propone una festa in casa di una ragazza organizzata dalla madre per far andare a letto la figlia con lo straniero. A un certo punto si mette in mezzo anche un vicino di casa che concorda il prezzo della prestazione. Tutto molto esplicito.

“La famiglia ha perso i valori etici di un tempo e la prostituzione è un fenomeno molto diffuso”, sostiene la blogger.

“Un cambiamento è necessario perché la generazione al potere è vecchia. Non credo che ci siano persone giovani interessate alla continuità di questo governo. Adesso indossano tutti una maschera per sopravvivere e restare a galla. Bisognerà attendere quando se la toglieranno per capire con chi abbiamo a che fare”, dice la Sánchez.

“Fidel si sta spegnendo lentamente, il fratello pure. La biologia non è un opinione. Non resta che aspettare. Io ho trentatré anni e il tempo è dalla mia parte”, conclude Yoani.

Cuba è come una stella cadente giunta al termine della sua parabola, un paese povero e sfiduciato che attende soltanto la fine. I tre autori si congedano dal pubblico regalando una carrellata di volti e di immagini che esprimono una ventata di ottimismo e tutta la voglia di cambiare per vivere un futuro migliore.

Adesso attendiamo che questo ottimo documentario venga prodotto e distribuito, oppure che sia trasmesso da qualche emittente televisiva, perché la verità su Cuba deve circolare. Siamo stanchi delle opinioni sotto forma di velina governativa e delle bugie di regime diffuse ad arte.

Gordiano Lupi

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