martedì 28 settembre 2010

IL MONDO VOLAVA SU UN CAVALLO BIANCO

di Orlando Luis Pardo Lazo
da VOCES 2 – settembre 2010

Canzoni schifose che segnarono a morte il nostro cuore povero e provinciale. Ballate di poco valore, certamente. Poesie sdolcinate che i nostri antenati interpretarono mentre svolgevano i loro lavori domestici del fine settimana o mentre di notte facevano mediocremente l’amore (un altro lavoro domestico).


Cattiva musica. Pessima. Inimitabile e senza paragone. Kitsch tropicale da alcova. Boleri light e melodrammi pop-corn di cornuti e ricchi uomini maturi. Strofe spremute con versi indimenticabili, eufonie che ci accompagneranno ben oltre il Giudizio Finale di fronte a un pubblico ministero dello Stato o di Dio.

Con una simile colonna sonora abbiamo succhiato il latte dalla madre e abbiamo appreso le prime parole di spagnolo. Una specie di spagnolo. Melodie genetiche, generazionali, geniali nonostante la loro ingenuità. Tutto un background di quartieri distrutti sotto le grida dei neonati che siamo stati e gli onanismi onirici degli adolescenti invecchiati senza mai esserlo completamente.

Oggi Cuba viene messa a tacere a forza di grida di ripudio e demagogia politica, pasto teatrale per il volgo: ultimi movimenti niente affatto estetici di una Rivoluzione il cui repertorio musicale non farà sentire niente di nuovo.

Oggi siamo come zombi in chiave di sol sostenuto maggiore, il più noioso degli accordi. Monotonia di un pentagramma che è rimasto con i microfoni in bianco. Nessuno ricorda le minacce apocalittiche del Premier del nostro unico Partito, così come nessuno rammenta le parole dell’ultimo successo della stagione delle ballate.

Cancelliamo scene. Abbandoniamo abitazioni quasi al ritmo della risacca. Cuba come paronimo perfetto di Coda.

E, allora, quando alla fine la speranza prende le sembianze di una malattia endemica, quando sappiamo di essere soli in una generazione così vasta e che non faremo niente che dopo valga la pena di pensare, allora, stanchi di dare testate contro i fantasmi suicidi, senza saperlo ci trasformeremo in funzionari pragmatici, quando lo scintillare del giorno dopo giorno sarà una nebbia sorpassata dalle nostre cateratte concettuali di gente che si è lasciata rubare il tempo che gli è toccato vivere, allora, il dono di quella musica della nostra stupida infanzia ci aspetterà ancora lì, come un visto per salvarci, come un talismano contro le dittature di tipo totalitario o democratico, come un cuscino dove appoggiare la nuca e chiedere perdono all’amore per aver chiacchierato troppo in suo nome e per averlo praticato così poco.

La cultura intera sarà condensata solo in due o tre frasi di paccottiglia che esprimeranno meglio di qualunque trattato quel che siamo stati senza saperlo. Endecasillabi indemoniati dai quali non aveva senso tentare la fuga, perché tra le loro metafore mefitiche, in alcune delle loro innumerevoli sdolcinate sonorità (meglio della falsa intelligenza dei veri poeti), risuonerà l’anima segreta di una truffa in fase terminale chiamata cubanità.


Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

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